Storia di un bambino mai nato – ERICA ZINGAROPOLI / LA SUA AFRICA

| 21 Gennaio 2014 | 0 Comments

ERICA ZINGAROPOLI/ LA SUA AFRICA

Storia di un bambino mai nato

Questa mattina Mary non ha ancora aperto il suo baracchino, le caramelle colorate sono ancora nel contenitore di plastica trasparente poggiato per terra, la frutta nei cartoni e le noccioline nel cellofan bianco. Tutti sono vicino al grande fosso dove la gente getta la spazzatura. Sono lì in cerchio e parlano sottovoce, indicano con il dito qualcosa o qualcuno lì dentro, in fondo. Il sarto continua a ridere e scherzare con il vicino mentre il piede preme sul pedale della macchina da cucire e le mani scorrono veloci sulla stoffa da imbastire prima di sera, perché diversamente non ci saranno soldi per la cena. Sorride e parla di un bambino nel fosso.

C‘è un neonato nel fosso. Cose che succedono. Tom, come ogni mattina si è calato giù nella buca di spazzatura per cercare oggetti da riutilizzare o da vendere, qualsiasi cosa che possa fargli guadagnare qualche scellino. Una borsa nera in pelle trapuntata ha colpito la sua attenzione, l’ha tirata su per i manici e non era vuota. La zip chiusa funzionava perfettamente, uno sciame di mosche blu è venuto fuori dall’apertura e un corpo inerme candido e nudo era rannicchiato dentro. Così la voce si era sparsa nel villaggio. Il sarto mi ha guardato e ha colto il mio sguardo perso e pieno di perché, per un attimo ha scostato il piede dal pedale lasciando gli occhiali sulla punta del naso e piegando il collo indietro per guardarmi attraverso di essi. “È un aborto. Non ci sono aborti nel tuo paese? Avere cura di un figlio costa caro e la gente che non può mantenerli li butta via. Le donne si prostituiscono per sopravvivere, sono minorenni, sposate, vedove o semplicemente senza cibo né casa. A volte restano incinte e non hanno la possibilità di abortire negli ospedali, così, una volta aver partorito in casa si liberano del nascituro. È un aborto ed è normale che accada.” Non capivo, allora, lo stupore di alcuni venuti anche dal villaggio lontano, non capivo perché, se fosse una cosa così normale per loro, tutti erano lì, a parlarne a domandarsi come potesse essere accaduto. La borsa è stata portata su da Tom, è in un sacco, uno di quelli per contenere le patate. Lo shop di Mary è ancora chiuso, ha chiamato la polizia, ha le mani incrociate sul petto e in una stringe un cellulare.

Mi fermo accanto a lei e noto uno sciame di donne in corsa verso il sacco che contiene la borsa, Mary urla di non aprire, non c’è regola, non ci sono padroni, ognuno fa come vuole. Le donne hanno aperto il sacco, poi la borsa, le mosche erano ancora lì, i bambini sono corsi a guardare spingendosi l’un l’altro come per arrivare primi a un traguardo senza premi, ho fatto qualche passo in avanti e mi sono bloccata quando il tanfo è arrivato fino a me e negli occhi di quei bambini non c’era nessuno stupore, poi le donne hanno richiuso e mi hanno guardato. Il bimbo appena nato poteva essere lì da un paio di giorni, le mani erano dietro le orecchie, la posizione fetale.

Ho cercato di comprendere, come loro, il gesto giustificato si una prostituta che non ha avuto altro modo per abortire, l’atto imprudente di una minorenne che non ha potuto fare altrimenti. Ho cercato di comprendere. Ho guardato quella borsa poggiata sull’asfalto in attesa di un’auto della polizia pronta ad arrivare, scattare qualche foto e mettere il sacco in macchina e ripartire, via. Sono ritornata vicino a Mary e mi ha chiesto se avessi visto il bambino, ho scosso la testa, non ce l’ho fatta. Ha avvicinato il suo capo al mio, la sua bocca a pochi centimetri dalle mie orecchie e sussurrato qualcosa. I brividi mi hanno percorso la schiena, un senso di malessere e nausea mi ha invaso. Ho incrociato lo sguardo del sarto che lì per lì ha ripreso a guardare la sua stoffa continuando a premere sul pedale. Quel bambino senza nome e senza vita, piccolo, accovacciato su sé stesso, con una grande ferita sulla fronte, le dita chiuse, le mani vicino alle orecchie, quel bambino che c’è stato per qualche minuto prima di non esserci mai più, quel bambino vittima e colpevole di un gesto estremo, quel bambino, non era nero.

Erica Zingaropoli

Category: Cronaca

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