“Il Salento è stato sempre visto come una zona dove mettere impianti pericolosi e impattanti, per scelte di carattere politico”. MARCELLO SECLI’ A leccecronaca.it PARLA DEL SUO IMPEGNO ECOLOGISTA, E SI RACCONTA A RUOTA LIBERA

| 13 Settembre 2024 | 1 Comment


di Giovanni Gemma ______

«Ecologia ed economia dovrebbero coincidere: fare economia significa saper gestire in maniera rigorosa le risorse. Ma noi non facciamo economia – e perciò neppure ecologia».

E’ di buon umore, il professor Marcello Seclì, 72 anni (“quattro volte 18 anni”, dice lui), presidente Italia Nostra – Sezione Sud Salento – storico attivista salentino per l’ambiente.

Ambientalista? Certamente, anzi ancor di più di alcuni “ambientalisti” ufficiali. Ché sottolinea lui: senza cultura e consapevolezza non potremo saper gestire le nostre risorse naturali, già provate e sprecate.

Raggiunto telefonicamente da leccecronaca.it tra uno e l’altro dei suoi tanti impegni quotidiani, ci ha permesso di fare il punto sulla situazione del nostro territorio.

Lo ringraziamo quindi per averci concesso questa intervista.

Può spiegarci brevemente di cosa di occupa Italia Nostra?

Italia Nostra nasce nel 1955, ha una lunga storia di militanza di uomini, intellettuali impegnati, giornalisti e professionisti che già in quegli anni ritenevano importante impegnarsi nella tutela del paesaggio e dei beni culturali – e in Italia il paesaggio coincide con l’ambiente. In tempo di boom economico, denunciare la mancanza di tutele significava guardare lontano.

La definirei un’associazione culturale, con obiettivi politici nel senso della polis civile…

Ci faccia capire meglio...

Se si conoscono i valori e l’importanza delle risorse naturali, allora un’associazione culturale può incidere sull’ambiente in senso stretto. Certe regole devono essere prioritariamente di carattere scientifico, tecnico e non legato ad interessi elettorali o economici, bensì sociali e intergenerazionali. La sostenibilità delle scelte è un paradigma da adottare per evitare di muoversi con la vista corta.

Adesso è di attualità prioritaria la questione della politica energetica. Le rinnovabili e il nucleare sono le alternative più verdi al gas, ma non tutto è rose e fiori. Partiamo dal nucleare: alla fine degli anni Settanta, si voleva costruire ad Avetrana una centrale a fissione, ma poi le proteste popolari hanno fatto arenare il progetto. A quasi mezzo secolo di distanza, è stata una decisione lungimirante?

La mia risposta è molto “di parte”: fui parte in causa nella mobilitazione ad Avetrana di quegli anni. Il sito doveva essere all’Omo Morto, poi venne spostato più a nord. Con le nostre sollecitazioni si creò un movimento di intellettuali, amministrazioni e popolazioni che ebbe impatto nazionale – una scelta importante e puntuale. Il nucleare avrebbe creato enormi problemi per il territorio, come poi lo è stata la centrale di Cerano: il Salento è stato sempre visto come una zona dove mettere impianti pericolosi e impattanti per scelte più di carattere politico, nel senso di occupazione di territori con risorse inespresse.

L’energia prodotta non era per i bisogni del territorio, ma – e questo è uno dei problemi nodali, con mancanza di pianificazione energetica a prescindere dal tipo di fonte – serviva altrove, a seconda di impostazioni economiche.

Ad oggi, la ricerca è giusto che vada avanti e le tecniche vanno affinate e migliorate – guai interrompere la ricerca! Serve comunque diversificare le fonti energetiche, a seconda degli utilizzi prevalentemente sul territorio. Per la produzione nucleare, servono garanzie certe in tutto il ciclo, dalle materie prime allo smaltimento dei rifiuti.

Passiamo alle rinnovabili. Il governo Meloni ha introdotto una nuova legislazione d’urgenza: di cosa si tratta?

C’è continuità con i governi precedenti, al di là di sollecitazioni temporanee. Continuare a riconoscere alla produzione di energia uno status d’interesse pubblico significa dare possibilità a tutti gli enti e alla popolazione di esprimersi. Avocare a livello centrale la politica energetica produce resistenze inascoltate – come in Sardegna – e pensare che avere procedure dall’alto non pianificate né condivise significa far arenare il progetto e non farlo apparire come utile. Gli obiettivi legittimi del governo, anche con scenari internazionali che cambiano facilmente, devono essere basati su tesi scientifiche. Il punto è: o pianifichiamo dal basso coinvolgendo fino ai comuni più piccoli e i corpi sociali intermedi, o staremo a rincorrerci a seconda delle condizioni geopolitiche, gli umori delle maggioranze di governo e i conflitti tra enti.

Diversi megaimpianti offshore erano e sono previsti al largo delle coste salentine, ad esempio a Castro...

Castro è stato comune capofila nel contrastare questo progetto, che inciderebbe in maniera significativa a livello paesaggistico ma soprattutto per aspetti sia ambientali – come per i danni alle rotte migratorie della fauna marina verso l’Egeo e dei volatili –, sia tecnici – non sappiamo gli eventuali danni ai fondali. Produrre e smaltire uno di questi impianti è, peraltro, un uso enorme di energia: è come se il gatto si mordesse la coda! I benefici, inoltre, non sarebbero per il territorio: l’energia prodotta viene inviata fuori il Salento.

Il Salento primeggia per produzione d’energia rinnovabile. Com’è lo stato dell’arte per quanto riguarda eolico e fotovoltaico a terra?

Continuano ad essere presentati progetti di eolico e fotovoltaico, anche se il governo non ha intenzione di pianificare. Terna parla del Salento come hub energetico per giustificare la realizzazione del secondo elettrodotto Italia-Grecia – il GrIta2 – sul nostro territorio, da Galatina a Melendugno. Il primo elettrodotto (GrIta1), a metà anni Novanta, è stato realizzato sottoterra grazie alle nostre battaglie, evitando tralicci di oltre 40 metri d’altezza. Hub energetico non significa che l’energia rimarrà a noi, anzi le infrastrutture dell’elettrodotto sono necessarie solo per il passaggio.

A quale ente – locale o statale – compete l’attuazione delle politiche energetiche nei territori?

Il problema è che viene avocata solo a livello di governo centrale, anche sulla base di direttive europee. Le competenze locali ci sono ma sono sostanzialmente irrilevanti. Invece, tutti gli attori dovrebbero avere titolarità d’intervento nel processo decisionale.

Ci sono segni di pianificazione delle politiche energetiche sul territorio, o è tutto demandato alla “mano invisibile” del mercato?

La mancata pianificazione è il nocciolo del problema energetico. Possiamo dire che inizia con le guerre degli anni Settanta e le difficoltà nell’approvvigionamento del petrolio. Non ci si preoccupa come risparmiare energia, che invece costituirebbe la base per creare riserve. Qualcosa si è fatto, come con i LED dell’illuminazione pubblica, ma si tratta di tentativi irrilevanti. Per esempio, potremmo dimezzare le luci notturne: non è certo da una lampadina in più che dipende la sicurezza dei cittadini!

Il mercato energetico non ha regole rigorose, è dominato dagli oligopoli – potremmo dire che non è nemmeno più un mercato. I piccoli si adattano alle decisioni dei grandi o periscono; al massimo raccolgono le briciole. L’azienda multinazionale in sé non è negativa, però essa non può fagocitare tutto. Immaginiamo invece che succederebbe se si creassero ovunque comunità energetiche – gli interessi del territorio sarebbero al primo posto, con i cittadini incentivati a parteciparvi e la potenza comunque di un megaimpianto.

Il Salento primeggia anche per il consumo di suolo. La cementificazione è un problema sempre più urgente.

Il consumo di suolo, innanzitutto, non è solo cementificazione. Noi produciamo cemento che viene esportato all’estero, con vantaggi economici ma con senza sostenibilità. Anche perché il suolo si consuma per le cave, il trasporto, gli impianti di produzione. I nostri avi realizzavano cave sulle quali costruivano gli impianti, risparmiando virtuosamente spazio.

Nel Salento abbiamo il 50% degli immobili vuoti o sottoutilizzati, per questioni demografiche e consumando suolo in lotti inutili. Alcuni politici, per risolvere la crisi abitativa, invece propongono di costruire ancora: l’“arte dei pacci”!

Persino molti opifici, con relative infrastrutture stradali (rampe deserte!), rimangono vuoti e senza produzione. Consumiamo energia per fare cose che alla fine non ci servono: sono diseconomie, come nella crisi del 2008. Incentiviamo attività futili: i parametri economici, per essere giustificabili, vanno fatti rientrare in quelli sociali, oggettivi. I dati rimangono letteratura, non vengono tradotti in scelte politiche. Alcuni comuni che si spopolano danno incentivi per far acquistare case vuote, ma ciò non risolve la questione abitative; si creano solo seconde case. Ecologia ed economia, insomma, dovrebbero coincidere: fare economia significa saper gestire in maniera rigorosa. Quindi, noi non facciamo economia – e perciò neppure ecologia, non usando razionalmente le risorse.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che le concessioni balneari sono scadute, ed entro il 2027 secondo il nuovo decreto vanno messe a gara.

A prescindere dai colori politici, le sentenze rimangono letteratura anch’esse, come il Piano coste della Regione Puglia che è stato recepito da pochissimi comuni. L’unico effetto ottenuto con lo slittamento delle messe a gara da parte dei governi sono le penali previste dalle direttive europee! Le concessioni venivano date in posti appetibili, che andavano invece tutelati come pubblici, magari con favoritismi. Si è così creato un carico antropico enorme, per chi frequenta lo stabilimento e per chi ne sta intorno.

E l’ambiente delicato ne risente: pensiamo alle dune, che sono letteralmente sparite, non solo per l’innalzamento dei mari. Opere sulla terraferma hanno consumato le risorse naturali e opere in acqua hanno modificate le correnti, le quali hanno impattato sull’erosione costiera. Diminuisce la superficie – mentre le frequentazioni sulle spiagge aumentano! Ironicamente, se un luogo naturale è bello, non deve essere reso una meta super frequentata. Abbiamo creato un modello di turismo insostenibile. La Notte della Taranta è interessante, ma come possono essere sostenibili 100 000 persone in una piccola realtà di 4 000 persone?

Avete collaborazioni con altre associazioni e le autorità locali? Le amministrazioni vi accolgono bene?

Innanzitutto, il comune deve fare attività pedagogica verso i cittadini, non c’è bisogno di avere un carabiniere dietro ogni spalla. Nota quasi dolente: per emergenze del momento altre associazioni ci chiedono una mano, però si tratta di collaborazioni ahimé non strutturali, nemmeno con le cosiddette associazioni ambientaliste (che talvolta non si comportano come tali, tipo Legambiente). Stesso discorso sulle amministrazioni locali: cerchiamo e incentiviamo costantemente il dialogo, ma quasi sempre non ci ascoltano. Questa è la dimostrazione che si aprono all’interlocuzione solo se non possono negarcela. Ci troviamo una classe politica di amministratori spesso improvvisati, con interessi particolari in senso lato, certo non di medio-lungo termine.

Che auspicio ha per le prossime regionali nel 2025?

Che lo schieramento che prevarrà abbia un personale politico all’altezza delle scelte e delle problematiche richieste dal territorio. Ancor prima di un governo di centrodestra o centrosinistra, servono idee concrete che vanno attuate in modo preciso. Si possono trovare punti convergenti sui quali impegnarsi, ma se il rappresentante istituzionale promuove una fase operativa diversa dalle promesse non può risultare affidabile. Meglio uno affidabile e meno competente, dato che le competenze a supporto delle scelte si possono trovare sul territorio con un metodo di coinvolgimento. Altrimenti dobbiamo stare lì ad inseguire l’assessore o il consigliere di turno. L’auspicio, quindi, è una classe politica che sappia guardare lontano senza perdere la visione contingente.

Ha un rimpianto nella sua militanza di attivista?

Rimpianti se ne possono avere a posteriori, vedendo come si sono evolute le cose. Ma nessuno ha la palla di vetro. Possono esserci rimpianti solo in questo senso, non come abbiamo affrontato i problemi: “fai quel che credi e accada quel che può.”

Un consiglio che si sente di dare alle giovani generazioni?

Non ne darei in termini generali, sarebbe già tanto riuscire a darne di volta in volta. Più che consigli, mi sento di dire: ognuno cerchi di mettere a servizio del territorio le proprie competenze, che vanno sempre arricchite e messe a frutto. Ciò non vuol dire salassarsi, ma neppure aspettarsi ricompense immediate.

Per il futuro, in generale: lei è ottimista o pessimista?

Un politico di qualche decennio fa si definiva ottimista nella volontà. Sono costretto a sentirmi ottimista, altrimenti non c’è ragione per impegnarsi, su qualsiasi fronte! Ma si può essere ottimisti solo se non si sta alla finestra.

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura, Politica

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  1. Benny ha detto:

    Belle parole, ma Italia Nostra non ha proprio nulla da farsi perdonare?

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