NOS RECORDS, NUOVA ETICHETTA INDIPENDENTE PUGLIESE, RIPRENDE, RIMASTERIZZA E RILANCIA “The Bomb Exploded Here” DEI VERONIKA VOSS, BAND CULT TARANTINA DEGLI ANNI NOVANTA
di Roberto Molle ______
“Ho letto circa sei recensioni italiane su Wild Good di Nick Cave e sono una la fotocopia dell’altra, qualcuna scritta meglio, qualcun’altra peggio […]”, così scriveva ieri in un post sui social Daniela Amenta, giornalista che per un certo periodo ha scritto di musica per Il Mucchio Selvaggio (una delle riviste specializzate italiane di qualche anno fa).
Sono nel mio spazio di ascolto domestico di fronte al computer, ho appena aperto il press-kit contenente tracce sonore e pdf con le informazioni su un disco (un extended play in verità) fresco di pubblicazione: il titolo è “The Bomb Exploded Here” e appartiene ai Veronika Voss.
Prima di scandagliare il contenuto sonoro leggo velocemente il pdf e faccio un giro in rete tra gli articoli e le recensioni che riguardano disco e band in questione.
Ora, non per ripetere le stesse cose dette dalla Amenta, ma possibile che webzine, blog, quotidiani di quartiere e testate blasonate non riescano a fare di meglio che copiaincollare?
Può essere che non si ritenga opportuno avere un delegato all’ascolto prima e alla scrittura di uno straccio di recensione poi?
Capisco che per i musicisti e le etichette vada bene che se ne parli purché si sappia, ma non si può leggere (ad esempio) su un quotidiano di una grande città quello che si può trovare dentro un data-base… senza filtri o senza un ragionamento compiuto.
Detto ciò mi taccio sulla questione e passo alla parte più interessante: l’ascolto del disco.
“The Bomb Exploded Here” dura una ventina di minuti, ma basta a farmi fare un salto spazio temporale indietro di trenta quarant’anni fa e a rivedermi tardo adolescente alle prese con rigurgiti post-punk proiettati dentro scenari che ispireranno generazioni prossime venture.
L’incipit di “Spermspit” colpisce allo stomaco con colpi secchi e sincopati; è come se i Pink Military (prima di mutuare in Pink Industry) avessero liberato le spore dei loro suoni nel vento sperando che nuove generazioni di musicisti potessero respirarle. Probabilmente qualcuna di quelle spore ha sorvolato l’Atlantico, la terra di Albione e di Bretagna e si è adagiata dormiente in quel di Taranto finché, dieci anni dopo, alcuni ragazzi ispirati dalla bellezza di un film decidono di celebrarlo chiamando la band che stanno formando con il suo nome: Veronika Voss. Le suggestioni del film (del regista Rainer Fassbinder), la situazione in città (tra inquinamento e desiderio di autodeterminazione), l’esigenza di rifondare spazi e allargare mentalità, la voglia di ripartire da qualcosa di autentico e di suonare, approda alla formazione di una band al crepuscolo di un secolo (siamo nel 1992) che riesce a farsi culto per un pubblico alla ricerca di un’identità sonora che esuli dal mainstream che ciclicamente stritola la penisola.
Un’esperienza, quella dei Veronica Voss, durata tre anni e culminata nel 1995 nella registrazione di “The Aladar Sessions”, oggi ripresa, rimasterizzata (dalla Nos Records, giovane e promettente etichetta discografica indipendente pugliese n.d.r.) e rinominata per l’appunto “The Bomb Exploded Here“. L’album disponibile sulle piattaforme online e in vinile in edizione limitata, comprende sei brani che in quei primi anni Novanta facevano impazzire migliaia di giovani ai concerti dei Veronika Voss.
Dicevamo di “Spermspit”, ma è solo l’inizio… a seguire titoli come “Magazine pasta” e “Space limbo” a rimarcare ritmi e attitudini. Il post-punk filtrato a pulsioni new wave, il depistaggio tra influenze garage statunitensi e umbratili timbri da scantinato UK, la voce sottile e ficcante di Gemma Lanzo a metà strada tra quella di Kate Pierson e quella di Juliee Cruise (The B-52s per intenderci), un tappeto dove la polvere non riesce a posarsi fatto di un drumming impetuoso (Vanni Sordiello alla batteria) e un basso incisivo ed elegante (Claudio Vozza), infine la chitarra “magica” di Gypsy Lonoce in grado di intessere trame capaci di filtrare accordi poveri a intrecci carpiti alle più nobili delle melodie.
Gli altri brani sono: “Taking a shine to a jelly boy”, “Shell” e “Screw”, stessa ricetta dei precedenti. Ascoltarli in veloce successione è come se tutto intorno accellerasse e una buona dose di ottimismo si sprigionasse da essi, è musica ad alto tasso energetico: liberatoria, catartica, rigeneratrice. Bentornati Veronika Voss!
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