DOPO IL Prime Day IN PIAZZA SANT’ORONZO. A CAVAL DONATO NON SI GUARDA IN BOCCA, MA A GIARDINO DONATO SI’: leccecronaca.it HA GUARDATO IN BOCCA AD AMAZON

| 16 Luglio 2024 | 0 Comments

di Giovanni Gemma ______  Lecce è una vetrina meravigliosa. Una città senza i problemi della metropoli, con un gioiellino di centro storico integro e lindo, il mare vicino a rinfrescare l’aria. Nell’estate 2020, Dior aveva scelto Piazza Duomo per la propria sfilata, una sorta di teatrino fuori dal tempo per l’alta moda. Non senza polemiche, visto il mondo di sfruttamento del lavoro e inquinamento dato dal fast fashion che l’alta moda copre con le sue parate luccicanti.

Quest’anno è stato il turno di Amazon.

Al fine di pubblicizzare il Prime Day è stato allestito uno stand in Piazza sant’Oronzo, giusto sul fianco di Palazzo Carafa. (Per completezza d’informazioni: il Prime Day è una serie di giorni in cui Amazon offre sconti agli abbonati al proprio servizio Prime. Nulla di più, nulla di meno che una campagna commerciale su una piattaforma web).

Questo stand informativo, piccolino rispetto ai palazzi della piazza ma visibile, era solo uno degli eventi cittadini di Amazon in questo torrido luglio. C’è stato anche uno «showcase musicale» ai Teatini con i The Kolors e un incontro con Elisa De Marco sul suo nuovo libro Manipolatori: le catene invisibili della dipendenza psicologica.

Tutto ciò s’inserisce nell’accordo tra Amazon – nella persona della manager pugliese Mariangela Marseglia – e l’assessore regionale Alessandro Delli Noci, «per sostenere la digitalizzazione e l’internazionalizzazione delle micro, piccole e medie imprese del territorio. […] Il percorso includerà attività di formazione erogate da esperti del settore e di Amazon e destinate alle PMI del territorio, con gli obiettivi di sviluppare e rafforzare le competenze necessarie a vendere online e far conoscere loro la vetrina su Amazon.it. Un ulteriore strumento a supporto delle vendite dei propri prodotti, entro e oltre i confini nazionali.»

Mentre Delli Noci guarda alle imprese, Salvemini sottolinea: «avanzai una richiesta specifica. Che Amazon legasse questa manifestazione così importante non solo presentando il cartellone del Festival: stand di promozione, concerto musicale gratutito, reading pubblico. Ma lasciando un’impronta tangibile in città attraverso la donazione di uno spazio pubblico attrezzato […] È nata così l’idea di realizzare a Lecce un parco per bambini con disabilità o aventi ogni tipo di abilità motoria e cognitiva. Oggi nella conferenza stampa di presentazione del Prime Day Festival del 12-14 luglio la conferma che il parco giochi inclusivo sarà disponibile entro la fine dell’anno. Alla nuova amministrazione il compito di individuare lo spazio più adeguato. La Città Pubblica si costruisce anche così: nel rapporto aperto e trasparente con gli investitori privati».

Abbiamo sottolineato in corsivo l’ultima frase. Non perché non ci sia stata trasparenza o sia impossibile far donare da Amazon un parco inclusivo – Se è franco, ungimi tutto! (perdonate la traduzione italiana) – ma per un motivo, se vogliamo, più generale.

Se avete mai visto I pinguini del Madagascar, sapete che questi distruttivi e operosi animaletti del cartone, dopo aver combinato qualche grosso danno, devono occultare tutto facendosi vedere come teneri cuccioli dai visitatori umani dello zoo in cui sono ingabbiati. «Carini e coccolosi!», ordina il capo-pinguino Skipper.

Ecco, l’impressione che lascia il Prime Day a Lecce è la stessa.

Amazon è un’impresa multinazionale che ha basa il proprio guadagno – e quindi la possibilità di offrire prodotti scontati a prezzi fuori mercato per altre imprese – su una catena di distribuzione fatta di lavoro in gran parte povero, poverissimo e non solo. La concentrazione delle ricchezze nelle mani del fondatore, Jeff Bezos, e di pochi alti dirigenti sparsi sul globo è straordinaria, un abisso rispetto al trattamento della manodopera.

Per frenare licenziamenti, sindacati (soprattutto negli USA) e critiche sulla stampa, negli ultimi anni Amazon ha deciso di migliorare le condizioni di lavoro nei propri centri di distribuzione e in quelli delle ditte appaltate. Salari migliori, postazioni più agevoli, turni meno massacranti. Meglio: Amazon ha introdotto questi cambiamenti dove c’è presenza di telecamere. Ove i mass media non arrivano, Amazon adotta ancora politiche lavorative e antisindacali durissime. E quando non lo fa Amazon, a sbrigare il lavoro sporco ci pensano le imprese che collaborano con la multinazionale.

Il segreto di Pulcinella dei guadagni stellari, però, non sta nelle miserie lavorative. Quelle, ahinoi, sono uno spettacolo a cui l’economia postindustriale ci ha già abituati abbondantemente. Tragiche, ma non più un segreto da tempo. Chi crede alla favoletta dei guadagni che beneficiano tutti dovrebbe vedere il conto in banca della stragrande maggioranza dei dipendenti Amazon, dei loro subappaltati e quelli dei manager internazionali. Il beneficio va sempre a chi ne ha meno bisogno.

Chi crede nella favoletta dell’uomo-fatto-da-solo dovrebbe ripercorrere la storia di Bezos e di gran parte dei suoi colleghi. Hanno iniziato l’attività in un garage… coi capitali garantiti dalle proprie famiglie a dalle proprie, benestanti conoscenze. Hanno fallito e hanno avuto la forza di rialzarsi… ma provate a immaginare: quanti potrebbero permettersi di fallire e ricominciare in grande stile, con finanziamenti garantiti e supporto economico? Questi miliardari della distribuzione non sono ristrutturatori del sistema economico: sono essi stessi parte integrante della struttura.

Il segreto di Pulcinella sta nell’attività più redditizia del gruppo Amazon: i server. Ne scrisse perfettamente Jonathan Crary in Terra bruciata: i server sono la risorsa scarsa decisiva per il futuro. IBM, Google e Amazon sono i principali possessori globali, un monopolio fortissimo con cui gli Stati devono collaborare. E i server, che di fatto tengono su materialmente tutta la baracca di Internet e del cosmo on line, sono un problema ecologico immenso: necessitano di risorse idriche, macchine e spazi per il raffreddamento enormi. (Oltre che un problema politico: a chi rispondono queste imprese, se non al proprio profitto? Il gioco vale davvero la candela?)

Le attività web globali, stoccate in questi server gestiti da pochi attori economici privati, contribuiscono – come scriveva Filippo Poletti su Il Sole 24 ore lo scorso anno – a quasi il doppio delle emissioni di CO2 di tutto il traffico aereo mondiale! Una transizione ecologica che non consideri questo particolare è una zappa sui piedi.

Ciò non significa che bisogna tornare all’Età della pietra, anzi. D’altronde stiamo leggendo un articolo su questo problema on line. Significa che non bisogna cedere alle avances glitterate di queste imprese, che succhiano linfa vitale dai propri lavoratori e rivendono strumenti e prodotti truccandosi il viso e pulendosi la giacca. Significa che serve una democratizzazione dell’economia.

Buono il parco giochi inclusivo, intanto ecco sbarcare le nostre aziende sui server di Amazon. Una situazione win-win… tranne che per il pianeta e per chi è costretto a lavori massacranti per il guadagno altrui.

Ora scusatemi, devo finire di vedere una serie su Prime. Non vorrei certo che arrivino prima gli spoiler!

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura, Eventi

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