GLEN HANSARD IN CONCERTO AL TEATRO PETRUZZELLI DI BARI. leccecronaca.it E’ ANDATA A SENTIRLO: “Hi Glen, I’m a journalist and a fan… How are you?“

| 30 Giugno 2024 | 0 Comments

di Roberto Molle ______  

“Come al solito un concerto di Glen Hansard non è facilissimo da raccontare, perché ha dentro un bel po’ di cose, anche diverse fra loro. Ci ho provato nel pezzo uscito su Rockol […] Considerate che ho dormito solo tre ore e perdonate le sbavature eventuali”.

Così scriveva in un post sui social il giornalista pistoiese Lorenzo Mei un paio di giorni fa, all’indomani del concerto bolognese di Glen Hansard (primo di una serie che lo vedrà protagonista, dopo Bari, anche a Brescia e Trieste).

In vista del concerto di ieri sera al teatro Petruzzelli di Bari e sapendo che ci sarei stato, nei giorni precedenti con Lorenzo ci siamo scambiati un po’ di informazioni su Glen e la sua band.

Tutti erano abbastanza emozionati del fatto di poter suonare in un posto fantastico come il teatro Petruzzelli; a Bologna Glen era sembrato un po’ stanco ma come al solito generoso con il pubblico. Di fatto la band costretta a limitazioni dovute a un altro concerto (del rapper Silent Bob) e a una durata che non è andata oltre l’ora e mezza è stata impeccabile.

Raccontare un concerto di Glen Hansard non è come andare a sentire uno dei tuoi musicisti preferiti, circoscrivere le emozioni provate in quel paio d’ore di spettacolo e tutto finisce lì. Per Glen, c’è tutto un indotto che lavora sulle corde dei nervi, sulle vie della percezione, sul respiro delle sue canzoni, su un sentire che si fa sentimento di profondo affetto man mano che negli anni tutta la sua storia di artista si è raggomitolata per srotolarsi nello spazio di pochi attimi: Outspan Foster, il guy di “Once”, la chitarra mezzo scassata (che ancora resiste), i “The Frames”, Markéta Irglová  e gli “Swell Season”, quell’aura di busker commista a quella di bravo ragazzo; tutto questo rappresenta un via che aiuta a scrollarsi di dosso, per un momento, le brutture di un mondo che oppongono muri alla bellezza, che credono di poter fare a meno della poesia e del rispetto dell’umanità, tutta.

Sono le 16.00 quando imbocco la statale, la temperatura sfiora i quaranta gradi e l’unica salvezza oltre al climatizzatore si rivela la pendrive imbottita di musica. Ci vogliono poco più di due ore per arrivare a Bari, faccio in tempo a far scorrere qualche album dei Frames, il “Battiato non Battiato” della Cyclope, L’ultima Beth Gibbons; inframmezzo con un ginseng al primo bar di una stazione di servizio, l’aria è infuocata mentre mi riavvio. Nella corsia opposta file chilometriche rallentano la discesa dei vacanzieri, io ho poche difficoltà, nella mia direzione scorre tutto bene. Alle 18.00 passo alla radio, gli ottavi stanno per iniziare e provo quasi un po’ di tristezza per il fatto di non poter guardare la partita. Il lungomare di Bari è accogliente, arrivare al Petruzzelli è quasi un attimo, nessun ingorgo, tutti sono al mare o a guardare la partita.

Il concerto inizia alle 21.00, c’è tempo per un giro in città. Una piccola piazza ospita qualche centinaio di tifosi incollati a uno schermo gigante. Passa poco, la Svizzera fa gol e tutti restano sgomenti.

Decido di spostarmi e torno verso il Petruzzelli, una sagoma familiare dal teatro si sposta verso il corso, è Glen, solo, con lo sguardo curioso che fa un giro tra le vetrine dei negozi. Mi avvicino spontaneamente: “Hi Glen, I’m a journalist and a fan; How are you? Do you like the Petruzzelli theatre? Have you already done the sound check? Why did you change the pianist for this tour?”. Mi rendo conto di aver vomitato troppe domande nel mio inglese stentato, Glen mi guarda, sorride e mi abbraccia. Facciamo qualche foto, poi ci salutiamo: “a dopo, later”.

Le porte del Petruzzelli si aprono intorno alle 20.30, all’interno c’è il tempo per rimanere estasiati: storia, bellezza e splendore estetico si contendono ogni emozione. Il teatro si riempie ordinatamente, un pubblico eterogeno sembra andare in estasi mentre volge lo sguardo intermittente alla volta, ai loggioni, alle finiture porporee e ai fregi.

Alle 21.00 in punto il palco si illumina ed entrano i musicisti. Ad accompagnare Glen ci sono un pezzo dei suoi Frames: Joe Doyle al basso e Rob Bochnik alla chitarra, poi Earl Harvin alla batteria, Mya Audrey alle tastiere e al piano, al violino il “magico” Garer Quinn Redomnd.

Per tutte le due ore del concerto la luce soffusa e discreta dei riflettori ha creato chiaroscuri e guizzi di luminosità mai aggressivi, donando alla scena lo spessore di vere e proprie installazioni musico-visive.

Glen ha attaccato dolente con Sure as the rain, Between us there is music e The feast of st. John presenti nel suo ultimo album “All That Was East is West Of Me Mow” e ha continuato con una versione delicatamente acida di Down on our kness che ha incendiato il pubblico. I momenti più toccanti hanno coinciso con l’esecuzione di Fitzcarraldo, Falling slowly, Minds made up e Revelate (brani che hanno contribuito negli anni alla sua popolarità).

Glen tra una canzone e l’altra scherza col pubblico, ironizza sulla sconfitta dell’Italia, fa una battuta su May Audrey e sul fatto che abbia a che fare qualcosa con la Svizzera, poi cita Italia ’90 e Schillaci; il pubblico lo applaude in continuazione, lui ringrazia nel suo italiano-irlandese: grazie mile!

A un certo punto cerca in platea una ragazza, la invita sul palco e lei legge un testo poetico in inglese, Glen la guarda estasiato e la applaude.

Un paio di volte, insieme ai musicisti scende nel pre-palco canta e suona unplugged (nel vero senso della parola: senza amplificazione!). In religioso silenzio il pubblico sembra rapito da quella scultura vivente nella penombra che dispensa canzoni intessute di rock e puro folk irlandese; sul finire il violino di Garer Quinn irrompe senza elettricità sul filo dell’appena udibile nella splendida Gold che, per un attimo, proietta nella scena della festa con gli amici in “Once”.

Due ore volano sul filo della perfezione: la voce di Glen è evocativa, rotonda, calda e roca all’occorrenza. I suoni in armonia con le parole e la scena. Alla fine solo un bis: Song of good hope, scendendo tra il pubblico con la sola voce e chitarra.

Un saluto, un abbraccio e un ricordo indimenticabile da Glen alla Puglia, domani altri posti e altri incontri.

Solo questo mi è rimasto nella testa, mi scuso… anch’io, solo poche ore di sonno.

La setlist di sabato 29 giugno eseguita al teatro Petruzzelli

SURE AS THE RAIN

BETWEEN US THERE IS MUSIC

THE FEAST OF ST. JOHN

DOWN ON OUR KNEES

LEAVE ALIGHT

MY LITTLE RUIN

MIND’S MAD UP

BIRD OF SOROW

GHOST

FITZCARRALDO

THERE’S NO MOUNTAIN

DON’T SETTLE

GREAT WEIGHT IS LIFTED

BEARING WITNESS

REVELATE

FALLING SLOWLY

SAY IT TO MI NOW

GOLD

HER MERCY

THIS GIFT

GOD HOPE

Category: Cultura, Eventi

About the Author ()

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Connect with Facebook

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.