PERICOLO PFAS. SONO GLI “inquinanti eterni”, ASSOCIATI A EFFETTI NEGATIVI SULLA SALUTE DELLE PERSONE
Da Roma, dall’Ufficio Stampa di Greenpeace Italia riceviamo e volentieri pubblichiamo. Aggiungiamo che parlano di dati Ispra, cioè dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente pubblico di ricerca italiano, istituito nel 2008 e sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Aggiungiamo pure che parlano di PFAS, vale a dire , acronimo inglese di “perfluorinated alkylated substances”. Nascono negli anni ’40 come composti chimici detti “di sintesi”. Oggi contiamo oltre 4.000 sostanze appartenenti a questa famiglia, molto utilizzate nell’industria.
Queste sostanze sono utilizzate per la loro capacità di respingere sia i grassi che l’acqua, per le loro proprietà ignifughe, per la loro elevata stabilità e resistenza alle alte temperature, grazie al loro legame carbonio-fluoro. Oggi però, nella maggior parte dei trattamenti in cui i PFAS vengono impiegati esistono alternative più sicure.
I PFAS trovano un massiccio impiego in una vasta gamma di applicazioni industriali e prodotti di largo consumo, tra cui:
- imballaggi alimentari, padelle antiaderenti, filo interdentale, carta forno, farmaci, dispositivi medici, cosmetici;
- capi di abbigliamento, prodotti tessili e di arredamento, capi in pelle;
- nell’industria galvanica (in particolare cromatura), scioline, cosmetici, gas refrigeranti, nell’industria elettronica e dei semiconduttori, nell’attività estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nelle vernici, in prodotti per l’igiene e la pulizia e nelle schiume antincendio.
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REPORT GREENPEACE SU DATI ISPRA: «PFAS TROVATI IN TUTTE LE REGIONI ITALIANE IN CUI SONO STATI CERCATI. CONTROLLI INSUFFICIENTI IN PUGLIA»
ROMA, 24.05.24 – Una nuova inchiesta di Greenpeace Italia, basata su dati ISPRA raccolti tra il 2019 e il 2022, dimostra che la contaminazione da PFAS è presente in tutte le Regioni italiane in cui sono state effettuate le indagini nei corpi idrici (fiumi, laghi e acque sotterranee). Malgrado l’ampia diffusione di questo inquinamento, nella maggior parte del nostro Paese i controlli sono ancora pochi, frammentari o addirittura assenti, tanto che la reale portata della contaminazione è ancora sconosciuta.
Secondo quanto riportato nel rapporto di Greenpeace Italia “La contaminazione da PFAS in Italia”, queste sostanze sono state rinvenute in quasi 18 mila campioni, pari al 17% delle analisi effettuate dagli enti preposti tra il 2019 e il 2022.
«I dati relativi alla presenza di PFAS in Italia confermano un’emergenza nazionale diffusa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note per questa contaminazione, ovvero alcune province del Veneto e la zona dell’alessandrino in Piemonte, ma anche numerose altre aree del Paese», afferma Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia. «Si tratta di un quadro grave e per di più incompleto a causa della mancanza di uniformità nei controlli a livello nazionale e dell’inefficacia dei monitoraggi in numerose Regioni».
Secondo i dati ISPRA analizzati da Greenpeace Italia, la percentuale di valori positivi ai PFAS varia da Regione a Regione, anche a seconda dell’accuratezza delle misurazioni effettuate dai diversi enti pubblici. In poche parole, più una Regione fa controlli e utilizza strumenti precisi e all’avanguardia, più è probabile che venga rilevata una positività da PFAS durante i monitoraggi. Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%) sono le Regioni con la più alta percentuale di analisi positive rispetto ai controlli effettuati tra il 2019 e il 2022. Anche altre sei Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Campania) presentano un tasso di positività superiore al 10% nel periodo preso in considerazione .
Nonostante questa diffusa contaminazione, la disomogeneità nei controlli degli enti preposti che è stata ricostruita da Greenpeace Italia è sconcertante: quasi il 70% delle analisi nazionali è stato infatti eseguito in sole quattro Regioni del nord Italia (Veneto e Piemonte, interessate da casi storici e ben documentati, a cui si aggiungono Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), mentre il restante 30% è distribuito nelle altre 12 Regioni interessate dalle verifiche, creando una sproporzione in termini numerici e di accuratezza. In quattro Regioni del sud Italia (Puglia, Sardegna, Molise e Calabria), dal 2017 al 2022 non risulta invece alcun controllo sulla presenza di PFAS nei corpi idrici. Oltre ad alcune aree del Veneto e dell’Alessandrino, i dati raccolti evidenziano criticità nel novarese, in Lombardia (province di Como, Lecco, Pavia e Monza Brianza), Lazio (Roma, zona Ponte Galeria e viterbese), Emilia Romagna e Abruzzo.
«La situazione rappresentata dai dati ISPRA è grave e la realtà potrebbe essere anche peggiore perché si tratta di dati parziali. Cosa aspetta il governo Meloni a promuovere un provvedimento che limiti, a livello nazionale, l’uso e la produzione di queste pericolose sostanze, a tutela dell’ambiente e della salute di tutte e tutti noi?», conclude Ungherese.
Leggi il rapporto “La contaminazione da PFAS in Italia”
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