“Ci si separa dai libri con la stessa sofferenza con cui ci separa dalle persone”

| 27 Febbraio 2024 | 0 Comments

di Teresa Ciulli  ______ 

Centouno anni dopo che Vladimir scrisse Masenka, ho potuto accomodarmi alla sua tavola imbandita.

Pochi giorni ho impiegato per leggere il breve romanzo, poco più di cento pagine nell’edizione Adelphi, pubblicata nel 2022. Eppure in tutti questi anni trascorsi nulla si è mosso sulla tavola che Vladimir ha apparecchiato per noi, per me! centouno anni fa. Tutto è rimasto uguale.

La tovaglia, pulita, bianca, stirata. I piatti di fattura inglese, porcellane con disegni di grandi rose blu cobalto, le posate pesanti, opache. I cibi, semplici, salati al mio palato. Quattro portate, è domenica, c’è il dolce.

Chiudo il libro, sazia. Soprattutto, cambiata.

Non ho più le stesse sembianze. Ho tante mani, una ventina, disuguali. Ho toccato cose, sfiorato, ascoltato, osservato a lungo persone assai diverse. E anche i piedi, quanti, maschili femminili e porto scarpe di ogni foggia, e sporcizia. Sono mostruosa sono un’extraterrestre!

No, sono una lettrice seriale di Vladimir.

Sono il cielo dove sono accadute tempeste, accaduti pomeriggi quieti e lunghi, estivi; sono una pagina dove qualcuno ha scritto sopra una storia e poi l’ho letta. Sono centocinquanta pagine. E io le ho lette tutte. Vladimir ha scritto sul mio corpo. Ha scritto centouno anni fa una cosa che io ho terminato di leggere, oggi.

Ma che perfetta macchina del tempo è l’invenzione, scrittore/lettore!

Masenka è il suo primo romanzo, fu pubblicato in Germania nel 1925, una casa editrice che si occupava di letteratura russa; numerosa era la comunità che aveva trovato rifugio a Berlino dopo la rivoluzione bolscevica. Una comunità di gente che aveva perso la Patria. Un lutto dalle proporzioni inimmaginabili: le radici robuste e nobiliari, la città di San Pietroburgo e i boschi la campagna il fiume i laghi intorno a Vyra dove la famiglia passava l’estate quando non era in vacanza in Costa Azzurra o in Istria. Alla fine del 1917 quando Lenin prese violentemente il potere dopo alcuni anni di incerto governo alle prese con la scrittura di una costituzione, fra i redattori anche il padre di Vladimir, la famiglia si separò da ogni suo bene, più piccolo legame, e riparò in Crimea, a Yalta. Qualche mese dopo, in Germania.

Leggo Masenka dopo aver divorato il libro autobiografico, Parla, memoria. Da un paio di mesi me la faccio con Vladimir, ho leggiucchiato Lezioni di Letteratura, ho scritto di Lolita, ho letto l’autobiografia. Infine ho preso in prestito, dalla Biblioteca Comunale Ognibene, quest’ultimo che poi è il suo primo. Riconosco i protagonisti e i luoghi del romanzo, qui li ritrovo con nomi diversi, cosa che molto mi affascina.

La trasformazione da persona reale a personaggio è avvenuta sotto i miei occhi in una piccola unità di tempo, meno di un mese. Per restare nel mondo di Nabokov, come assistere alla metamorfosi da Bruco a Farfalla. Un salto ontologico. Come dire, dalla Fisica alla Metafisica. Averlo visto accadere in una manciata di giorni mi procura una grande commozione. Vladimir scrive di ogni cosa, organica e inorganica, minerale e animale, artefatto o fatto, con la stessa identica partecipazione emotiva. La stessa furia descrittiva. Curiosità. Stupore. Lacerazione.

Dalle cose, dai luoghi che abbiamo amato, dai libri! Ci si separa con la stessa sofferenza con cui ci separiamo dalle persone. Non sembra esserci proporzione fra questi aspetti dell’esperienza e invece c’è un minimo comune denominatore. Che ero per intero in quel momento, la mia vita perfettamente sintonizzata a quell’albero quel bosco quel fiume quella farfalla, perfettamente sintonizzata a quel sorriso di papà a quelle mani di mamma sul mio capo; all’istante in cui mia sorella cadde dalla bicicletta e si fratturò la gamba. Perfettamente sintonizzata alla voce di un uomo che centouno anni fa si sintonizzò con la sua libertà il suo desiderio la sua giovane ma già adulta esperienza umana, e scrisse una storia in cui si andava ad accomiatare dalla sua infanzia, per sempre. Quel per sempre era vero per lui ma lo è ancora.

Quella tavola è ancora imbandita. Io ho mangiato tutto quello che mi ha servito. Ho chiuso il libro. Lo tengo fra le mani. Così, chiuso, sembra non esserci passato nessuno. E’ il miracolo dello scrittore.

Tutto deve ancora accadere per la Prima Volta. La cena, non è stata ancora servita. Mi aspettano.

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(Teresa Ciulli, Lecce, 26 febbraio 2024, testo e illustrazione per leccecronaca.it) 

Category: Costume e società, Cultura

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