IL PROCESSO PER L’OMICIDIO DI COPERTINO DI SILVANO NESTOLA
E’ DIVENTATO GIA’ UN CASO GIUDIZIARIO, CON LA SFIDA FRA LA PUBBLICA ACCUSA E LA DIFESA DI MICHELE APORTONE. ADESSO SI ASPETTA SOLO LA SENTENZA
di Flora Fina ______
Nel cuore di un processo intricato e sconcertante, la figura di Michele Aportone, unico imputato nell’omicidio dell’ex maresciallo dei Carabinieri Silvano Nestola avvenuto il 3 maggio di due anni fa a Copertino, è al centro di una controversia che oscilla tra il dramma familiare e le accuse di omicidio: nell’aula bunker del carcere di Lecce, l’avvocato di Aportone, Francesca Conte, ha infatti lanciato un appassionato appello per l’assoluzione del suo assistito, delineando un processo basato su congetture e privo di prove concrete.
Secondo l’accusa infatti, Aportone (nella foto, in alto), padre della donna con cui Nestola aveva una relazione, avrebbe ucciso l’ex maresciallo in un acceso delirio d’ira, scatenato dal rapporto compromettente tra Nestola e sua figlia Elisabetta, una giovane donna che, secondo quanto riferito, era psicologicamente fragile. Sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, Aportone avrebbe atteso pazientemente Nestola (nella foto, in basso) all’uscita della casa della sorella, per poi sparare a colpi di fucile, e tuttavia, l’arma del delitto sarebbe rimasta misteriosamente assente.
La difesa di Aportone ha pertanto dipinto un quadro completamente diverso, sottolineando la mancanza di prove che avvalorino le accuse contro il loro cliente: l’avvocato Conte, ha infatti sottolineato che Aportone è stato ritenuto il “colpevole perfetto” senza alcuna evidenza tangibile a incriminarlo, sottolineando, altresì, l’incapacità fisica dello stesso Aportone di sollevare oggetti pesanti come uno scooter e un fucile, elementi chiave nella narrazione dell’accusa. In seconda battuta poi, la difesa ha anche rivolto l’attenzione sull’atteggiamento ossessivo dei genitori nei confronti di Elisabetta.
Nel frattempo, i familiari della vittima, tra cui il figlioletto che era con Nestola il giorno dell’aggressione e la sua ex moglie, sono rappresentati come parti civili dagli avvocati Vincenzo Maggiulli, Enrico Cimmino, Maria Luisa Avellis e Gaetano Vitale: difatti, oltre al risarcimento danni richiesto, essi sperano che sia confermata la piena colpevolezza di Michele Aportone, cercando l’aggiunta delle circostanze aggravanti di premeditazione e motivi futili e abietti.
Tuttavia, è bene sempre ricordare che, in precedenza, nell’aula della Corte d’Assise, presieduta dal giudice Pietro Baffa e affiancato da Francesca Mariano e giudici popolari, si svolse una testimonianza cruciale nel processo per l’omicidio dell’ex maresciallo dei Carabinieri Silvano Nestola, ucciso brutalmente a Copertino: il medico legale Roberto Vaglio infatti, intervenuto sul luogo del delitto e autore dell’autopsia, rivelò dettagli scioccanti durante il suo interrogatorio.
Secondo le testimonianze del medico legale, Nestola fu infatti colpito da 41-42 pallini esplosi da un fucile da caccia a proiettili multipli: quattro cartucce furono sparate contro la vittima da una distanza stimata di circa 15 metri. Le ferite, sia al tronco che all’addome, indicarono una lacerazione dell’aorta intratoracica come causa del decesso, ed emerse poi che Nestola, nella sua tragica fine, cercò di proteggere il figlioletto, forse nel buio senza capire esattamente da dove provenisse il fuoco assassino.
Successivamente, il Tenente Giuseppe Boccia, che coordinò le indagini, fornì dettagliati resoconti sulle prove che portarono all’arresto di Michele Aportone, l’uomo accusato dell’omicidio: Boccia spiegò, con l’ausilio di una mappa, i risultati ottenuti dalle telecamere di sorveglianza durante il periodo di pandemia, quando il coprifuoco era in vigore alle 22:00. Le registrazioni permisero di individuare un furgone bianco, successivamente sequestrato ad Aportone, il cui percorso fu ricostruito.
Secondo le indagini dunque, il conducente del veicolo caricò a bordo un ciclomotore Piaggio Free di colore blu. Il furgone fu poi nascosto in un luogo non visibile dalle telecamere, mentre il conducente continuò il tragitto in motorino per raggiungere il luogo dell’omicidio, situato nella contrada Tarantini alla periferia di Copertino.
Queste testimonianze e prove presentate in tribunale gettarono pertanto luce su uno degli omicidi più scioccanti nella storia locale, svelando una trama intricata di eventi che potrebbero rivelarsi cruciali nel corso del processo giudiziario in corso, e la comunità tutta, rimase in attesa mentre il processo continuava a rivelare dettagli inquietanti e cruciali per stabilire la verità dietro a questo tragico evento.
Come dimenticare poi, in tal senso, la consulenza del dottor Antonio Politi, informatico, che mise ulteriormente in dubbio la colpevolezza di Aportone, e che sottolineò che nei filmati di videosorveglianza che riprendevano il tragitto presunto di Aportone prima e dopo l’omicidio, non c’era alcuna prova concreta che lo identificasse alla guida dei mezzi utilizzati, un furgoncino e un motorino. Inoltre, aggiunse che il telefono di Aportone era collegato all’area camper di sua proprietà durante tutto il periodo dell’omicidio, ma ciò non escludeva che l’uomo avesse lasciato il telefono, evitando di portarlo con sé durante l’azione criminosa.
Successivamente, anche il generale Luciano Garofano, già comandante del Ris di Parma e generista forense, affrontò le prove raccolte, sottolineando anch’egli che, secondo i verbali degli inquirenti, non furono adottate precauzioni per evitare la contaminazione delle prove, in particolare per quanto riguardava i residui di polvere da sparo sui fucili sequestrati ad Aportone, e pertanto, lo stesso Garofano dichiarò che dal punto di vista genetico-biologico non c’erano tracce che certificassero la responsabilità di Michele Aportone.
Questi nuovi elementi sollevarono pertanto ulteriori dubbi sulla colpevolezza di Aportone nel caso dell’omicidio di Nestola, gettando un’ombra di incertezza su un processo già complesso e controverso.
Oggi dunque, nel complesso panorama del caso Aportone-Nestola, l’attenzione è attualmente concentrata sulla difesa e il suo ruolo cruciale nel dibattito legale: mentre il Pubblico Ministero ha strenuamente cercato di dimostrare la colpevolezza di Michele Aportone, l’avvocato Francesca Conte (nella foto) e il suo team hanno svolto un compito altrettanto importante nel mettere in discussione le prove presentate e sollevare domande fondamentali sulla versione dell’accusa.
Dalla prospettiva di molti osservatori, la difesa ha messo in luce elementi fondamentali del caso che potrebbero essere stati trascurati o considerati superficialmente: le perizie mediche presentate, che indicano l’incapacità fisica di Aportone di compiere i gesti attribuitigli, sollevano interrogativi significativi sulla coerenza della ricostruzione dell’accusa. L’assenza di prove concrete riguardo al passaggio da un mezzo di trasporto all’altro e l’assenza di tracce genetiche sul fucile incriminato sono aspetti che, secondo alcuni esperti legali, gettano dubbi sulla solidità dell’accusa.
L’opinione pubblica poi, divisa tra speranza di giustizia e timori di un errore giudiziario, ha guardato alla difesa come baluardo contro l’ingiustizia: in tal senso, il ruolo della difesa in un processo così controverso sia fondamentale non solo per il destino di Aportone, ma anche per la fiducia nella giustizia stessa, ed inoltre, il dibattito acceso che la difesa ha portato in tribunale ha sollevato domande importanti sul processo investigativo e ha spinto molti a riflettere criticamente sulla solidità delle prove presentate dall’accusa.
E dunque, mentre la Corte si prepara a prendere una decisione, il lavoro instancabile della difesa continua a essere un faro che guida il processo e l’opinione pubblica attraverso le complesse acque di questo caso giudiziario.
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