COME ERAVAMO / LA METAMORFOSI DEL BACCALA’
di Raffaele Polo ______
Della pasta, io ricordo i grossi pacchi di carta blu, lucida e pesante, che contenevano la pasta ‘lunga’ e che troneggiavano negli appositi scaffali della drogheria. La pasta ‘corta’ e le pastine in genere erano tenute in cassettoni col vetro davanti, che si potesse constatare l’integrità del prodotto. E le preferenze seguivano, naturalmente, l’andamento del mercato.
Gli spaghetti, c’erano sempre. E, anzi, la varietà dei ‘vermicelli’ cominciava ad imporsi. Per i più sofisticati, c’erano i ‘capelli d’angelo’, odiatissimi dai bambini che, per la pastasciutta, preferivano la pasta riccia, la tripolina e i bucatini. La pasta corta non tirava molto, le penne e i ‘maccheroni’ erano richiesti in funzione della confezione della ‘pasta al forno’, i rigatoni facevano concorrenza agli ‘ziti’ che sceglievamo nella loro originaria appartenenza alla ‘pasta lunga’, felici di spezzarli e di farli diventare ‘corti’, seguivamo le raccomandazioni della mamma, né corti né lunghi, ci faceva vedere che da un lungo pezzo di ‘zito’ ne ricavava almeno cinque, e ci adeguavamo a quella indicazione.
Le linguine, infine, erano prerogativa dei pranzi estivi a base di pesce. E poi c’erano i vari tipi di pastina… Onestamente, la pastina non piaceva proprio ai ragazzi, soprattutto se era minuscola e ricordava il cibo dello svezzamento. Il fatto poi che fosse il piatto quotidiano dell’ospedale (nel Vito Fazzi di Lecce imperavano, da sempre, i ‘paternosci’) non deponeva certo alla sua preferenza…
C’era la ‘spicanarda’ (poi tramutata in ‘semi di rosmarino’ o altro vegetale) che si utilizzava col merluzzo, nei giorni prospicenti la festività dell’Immacolata. Ma era un piatto caratteristico, che non piaceva a tutti. ‘Mi puzza’ sentivo dire spesso da chi non amava l’armonico connubio col baccalà che, tra l’altro, nel giro di pochi anni è passato da cibo dei poveri a scelta dei V,I,P. Con relativo aumento del prezzo.
Forse per nessun altro cibo è successa questa metamorfosi, adesso il baccalà è rinomato e ricercato. Anni addietro era il cibo dei poveri e presenziava appunto nella ‘spicanarda’ e nelle ‘pittule’ oltre che essere cucinato e servito col sughetto o con le patate, dopo averlo tenuto a bagno per tre giorni, cambiando di frequente l’acqua… Solo il prosciutto cotto ha avuto una metamorfosi simile: da salume dei bambini e dei poveri, è adesso prezioso e delicato salume, pubblicizzato con la voluta identificazione di un prodotto leggero, nutriente e ricco di sostanza. Pensare che il panino delle bambine dei miei tempi era disprezzato perché abbinava sistematicamente il prosciutto cotto alla soresina, ovvero sapori poco consistenti e giusto un cibo per signorine pallide e smorfiose che guardavano inorridite i nostri filoni con provola e mortadella, allora era così, anche nella confezione del panino, c’erano chiare distinzioni di ceto e sesso…
La pasta, poi, era anche quella ‘fatta in casa’. E, stavolta, piaceva a tutti, ma proprio a tutti, fossero orecchiette, maccheroni o sagne ‘ncannulate, le più ricercate, le più buone, che riempivano la ‘coppa’ della domenica e venivano nobilitate con le ‘purpette’, compagne indivisibili di ogni tipo di pasta. Del resto, è stato proprio il ‘Conte di Luna’, ovvero Enrico Bozzi, ad elevare questo piatto alla nobiltà poetica del dialetto leccese. E la sua poesia è un vero e proprio catalogo, un repertorio di quello che era, per noi, un semplice piatto di pasta. Ieri, come oggi.
LU MAGGHIU PIATTU di E. BOZZI Pe lla panza, la pietanza cchiù de custu e de sustanza, ci te binchia e tte cunzola, ci pe ccentu piatti basta, nc’è besegnu bai lla scola cu ccapisci ca è lla pasta? L’autre cose sapurose, sissignore, me le mangiu, doppu, sempre, se capisce; ma nu già ca fazzu cangiu pe lla carne o pe lu pisce! Ui deciti cce buliti ca su’ scemu o materiale; ma però li maccarruni su’ la cosa cchiù ssenziale ci ue’ binchi li cantuni. Strascenati, rreutati, mienzi cuetti o mienzi cruti, Cu llu casu duce o puntu, cu lla sarsa o rreseduti, me li mangiu a ttuttu puntu. Cu llu burru o la recotta o mmescati a lli llecumi, sulu a dhai fazzu la botta, sulu a dhai perdu li lumi! E agghiu e uegghiu cce ssu’ belli, speciarmente sperciatielli! . . . Lenghi lenghi a la furcina, usu gnèmmaru de ammace, nde nturtigghiu na trentina: puru sazziu su’ ccapace nforsa ncanna mme li ficcu; e mme sentu sodispattu quandu a ll’urtimu me lliccu la vernice de lu piattu! . . |
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Baccalà, ovvero profumo e sapore di casa, quando la mamma lo preparava con quel sughetto al pomodoro e insaporito con gli aromi giusti; era un piatto davvero prelibato per la gioia di tutti noi! Capitava di mangiarlo anche con la pastina e il sapore era così buono che la mamma riceveva tutti quei complimenti consoni ad una brava cuoca, quale lei era…Questo uno degli innumerevoli momenti che attraversano la mia mente, quella tavola imbandita e condivisa nel calore e nell’affetto di una famiglia come tante…!