SESSANTA ANNI FA IL ”delitto perfetto” DI ENRICO MATTEI, MISTERO ITALIANO ANCORA IRRISOLTO
di Dario Fiorentino ______
Sessant’anni fa moriva Enrico Mattei, il fondatore dell’ENI.
In un articolo apparso sull’«Unità» il 26 aprile 2006, lo storico Nico Perrone, biografo di Enrico Mattei e autore di numerosi saggi incentrati sulla sua figura, propone un resoconto sintetico e acuto dei lunghi anni di ricerche da un punto di vista tanto provocatorio, quanto interessante ed emblematico, che si adatta perfettamente alla vicenda della fine di Mattei.
Che cosa è il delitto perfetto? Qual è il delitto che nemmeno appare come tale, quello di cui non si scopre l’autore, il modo in cui è messo in atto?
Si tratta sicuramente di interrogativi riservati ai cultori di letteratura poliziesca, anche se la morte di Enrico Mattei, il primo mistero della complessa storia d’Italia a partire dal secondo dopoguerra, l’ora «zero» della nostra storia occulta, come ancheè stato definito, ci pone innanzi a un caso che presenta tutte le caratteristiche di ciò che potremmo definire un delitto perfetto.
La morte di Mattei è stata considerata per lungo tempo un incidente, nel cui contesto nulla faceva pensare a una situazione delittuosa.
Eppure, oggi, secondo il magistrato di Pavia che ha riaperto le indagini su questo oscuro episodio della nostra storia repubblicana, Vincenzo Calia, «l’attentato a Mattei non è più un’opinione».
Solo che non si sa, e forse mai si saprà, chi sia stato il responsabile o i responsabili e sotto quali direttive, interne o esterne, abbia o abbiano agito.Troppo tempo è passato e non avrebbe potuto essere altrimenti, data la posta in gioco che emerge dalla girandola delle ipotesi avanzate nel tempo su eventuali moventi, mandanti ed esecutori dell’omicidio di Enrico Mattei, del pilota che conduceva il bireattore e del giornalista che viaggiava con loro.
Se certe cose fossero state scoperte prima, i possibili rivolgimenti in campo politico, economico e forse anche nella sfera degli stessi rapporti internazionali sarebbero stati sicuramente incalcolabili. Anche se l’attentato è stato scoperto di recente, grazie a un’indagine tecnico-scientifica di altissimo livello, cambia poco circa la funzione che la «perfezione» del delitto si prefiggeva di svolgere; dopo più di trent’anni il «salvabile» è stato già salvato e chi doveva essere protetto o trarre beneficio dalla morte di Mattei aveva già ottenuto entrambi i propositi, ponendosi al riparo.
Se un complotto c’è stato, e probabilmente c’è stato davvero, gli autori, a tutti i livelli di coinvolgimento, sono riusciti a raggiungere e concretizzare i propri scopi, salvaguardando gli equilibri politici e diplomatici che il «corsaro nero», come era stato soprannominato Mattei, aveva letteralmente minacciato di ribaltare nel decennio precedente.
Perché, dunque, un delitto perfetto? Tutto sta nel cogliere e nel ricostruire, anche se in via ipotetica e per tentativi, la ragnatela delle complicità che lo ha ordito e reso possibile, invisibile, ma percettibile; una ragnatela sicuramente elevata seppur impossibile da identificare a un grado di plausibilità e certezza sufficiente per ottenere una condanna giudiziaria, oppure per pervenire a una cristallizzazione storica che possa considerarsi definitiva o giù di lì.
Quindi un delitto perfetto poiché oramai impunito, «orfano» dei suoi mandanti, dei suoi esecutori e dei suoi fiancheggiatori a cui attribuire un nome e un volto certi: perfetto dal momento in cui certi risultati o benefici politici, economici e diplomatici hanno da tempo ricevuto il crisma della irreversibilità.
Un delitto perfetto, continua Perrone, anche per ciò che riguarda la sua concezione ed esecuzione, cioè relativamente all’impiego di strumenti e tecnologie molto evoluti per quei tempi, abbinati a una trappola in vecchio stile come solo in Sicilia se ne possono organizzare, che solo mani abilissime potevano padroneggiare in modo da non lasciare traccia, in grado di far sprofondare la «verità» con tutte le sue proteiformi articolazioni nelle sabbie mobili dell’incomprensione e dell’errore; errore non sempre «colposo», ma quanto basta per occultare un misfatto.
Solo trent’anni dopo, una tecnologia ancora più evoluta e un magistrato meticoloso avrebbero fatto luce, anche se parzialmente, su elementi e circostanze all’epoca dei fatti di difficile individuazione.
Ne viene fuori un attentato complesso, coperto da sapienti depistaggi manovrati da eminenze grigie e non, che si snoda attraverso un ventaglio ipotetico dalla portata potenzialmente internazionale.
Non avendo risposte definitive da fornire, non ci resta che procedere dalle domande che ancora oggi aleggiano inquietanti sul fango di Bascapé: chi? Perché? Come?
Interrogativi che ruotano intorno a personaggi di ogni risma le cui vicende si intrecciano e si sovrappongono in un dipinto fumoso, in chiaroscuro e perennemente incompleto e frammentato.
In un testo intitolato Il caso Mattei, Benito Li Vigni, storico collaboratore del presidente dell’ENI e autore di saggi molto importanti per collocare la figura e l’azione imprenditoriale e politica di Mattei nel contesto geopolitico del primo decennio del secondo Dopoguerra, riunisce una serie di documenti il cui interesse è illuminante e sinistro al contempo.
I documenti in questione consistono in alcuni estratti di rapporti top secret che il Foreign Office e l’ambasciata britannica hanno redatto sulla politica energetica di Enrico Mattei, considerata «estremamente pericolosa per il sistema petrolifero mondiale e, soprattutto, per gli interessi inglesi».
L’attenzione nei confronti di Mattei che emerge dalla lettura di questi documenti manifesta una crescente preoccupazione per la sua «spregiudicata» politica internazionale come anche per irisultati che progressivamente riesce a ottenere; i pericoli per le oligarchie finanziarie e petrolifere britanniche – le cui preoccupazioni saranno condivise anche dalle medesime oligarchie statunitensi – non sarebbero rappresentati soltanto dagli eventuali danni economici derivanti dalla condotta di Mattei, bensì anche dalle modificazioni politiche prodotte nello scacchiere mondiale, ed è facile percepire il risentimento, se non la vera e propria ostilità, nei confronti di un personaggio che viene dipinto a tutti gli effetti come un nemico.
Vale la pena discutere e riportare alcuni stralci degli estratti contenuti nel saggio di Li Vigni. Per esempio, in un rapporto considerato «confidential » dell’ambasciatore britannico a Roma del 20 luglio 1960 vengono discussi alcuni punti rilevanti: l’ingresso dell’ENI nel Regno Unito, l’accordo che l’ente italiano è in procinto di concludere con il governo tunisino, l’attività petrolifera svolta in Egitto, a Cuba, i contatti con il governo sovietico per l’acquisto di petrolio a prezzi più convenienti e, in generale, i rapporti che intercorrono tra ENI e le compagnie petrolifere Shell e Bp.
L’ambasciatore sostiene che Mattei avrebbe riferito al direttore di Bp la propria intenzione di portare un attacco aperto a tutti i mercati europei e di voler sostenere una vera e propria guerra dei prezzi soprattutto nei confronti di Svizzera, Austria e Germania.
Secondo le direzioni di Shell e Bp la situazione italiana inizia a destare «una seria preoccupazione »; le due compagnie inglesi sospettano e temono che Mattei, acquistando quote di greggio dai sovieticia prezzi irrisori, riuscirà a ridurre ulteriormente il prezzo della benzina.
A proposito dei punti appena evidenziati, come a volerne sottolineare l’aggravamento, sempre l’ambasciatore britannico a Roma in un rapporto top secret dell’11 agosto 1961, dopo aver «studiato » Mattei, lo dipinge come «molto sicuro di sé», tornando a manifestare le preoccupazioni dei dirigenti di Shell e Bp per la vastità dei progetti del presidente dell’ENI e per le ripercussioni che questi inevitabilmente avranno sulle compagnie britanniche.
L’ambasciatore britannico sollecita allora ulteriori analisi circa i rapporti intercorrenti tra Mattei e il Gruppo Petrolifero Occidentale, in considerazione del fatto che il loro antagonista sembri riuscire nel proprio intento principale: il controllo delle fonti di approvvigionamento di greggio a condizioni favorevoli, come testimonierebbe, all’epoca, l’inizio delle trivellazioni in Iran. Ma a queste preoccupazioni se ne aggiungono altre, come per esempio il fatto che Mattei abbia sviluppato con successo i propri obiettivi oltremare, stabilendo contatti con i governi di Egitto, Sudan, Pakistan, Libia, Marocco e Tunisia, oltre alla conclusione delle trattative con i russi per le forniture di greggio sovietico.
Il rapporto continua affermando che «tutto ciò non rappresenta che una parte del problema»; in riferimento all’incontro con i rappresentanti di Shell e Bp, in cui Mattei annunciava l’intenzione di iniziare una guerra dei prezzi, l’ambasciatore britannico ritiene che tale guerra sia già iniziata nel momento in cui scrive.
Ciò è gravido di conseguenze: «i prezzi che ha imposto alla benzina e agli altri carburanti sono talmente ridotti che se dovesse decidere di applicare un’ulteriore riduzione, le nostre compagnie petrolifere subirebbero dei colpi gravissimi».
Nel mirino, il modo in cui Mattei porta a termine le sue trattative e gli effetti che ne discendono, come per esempio il caso dell’accordo stipulato con il governo tunisino che lo pone come «un nemico pericoloso nella grande corsa delle compagnie britanniche in campo petrolifero, soprattutto perché il modo con cui Mattei ha condotto i suoi affari in Tunisia sta assumendo carattere monopolistico».
La chiosa finale non potrebbe essere più esplicita: è inutile nascondersi che egli rappresenta e rappresenterà in futuro, e non solo in Tunisia, una vera e propria spina nel fianco per le nostre compagnie petrolifere. Mattei è senza dubbio un personaggio molto ambiguo e inaffidabile: se le compagnie inglesi accettassero di accordargli qualche concessione, egli se la intascherebbe e non esiterebbe a chiederne delle altre.
Mattei in questo rapporto segreto viene dunque descritto come un gangster del petrolio, e i suoi metodi vengono equiparati, sempre secondo la penna dell’ambasciatore britannico, a dei veri e propri atti di estorsione. Ma a parte le considerazioni commerciali, si sottolinea inoltre il problema politico che si verrebbe a creare in un eventuale scenario di «guerra» tra l’ENI e le compagnie petrolifere britanniche, le cui ripercussioni provocherebbero perdite che queste non sono disposte a tollerare.
Se torniamo indietro nel tempo di un anno, leggendo un altro rapporto segreto dell’ambasciata inglese, precisamente quello del 7 settembre 1960, si nota come i timori dell’ambasciatore nei confronti dei rapporti che Mattei sta intrattenendo con il governo sovietico riguardino la possibilità di scatenare un effetto domino in Europa; l’URSS chiede all’Italia la costruzione di navi petroliere in cambio di grano duro e di petrolio greggio, e ciò per Londra potrebbe aumentare la capacità sovietica di inserire il proprio petrolio nei mercati occidentali con sicure implicazioni di carattere politico e commerciale.
Londra teme possibili pressioni per l’acquisto di greggio sovietico in cambio di materiale ingegneristico di produzione britannica: «se lo fanno gli italiani, perché non dovremmo farlo noi?».
In due successivi rapporti, uno dell’ambasciata britannica del 21 ottobre 1960 e l’altro del Foreign Office del 1° novembre dello stesso anno, si delinea in maniera più specifica il «peccato» di cui Mattei non solo si sarebbe macchiato, ma che avrebbe continuato a commettere in maniera reiterata: sta sbilanciando gli equilibri della distribuzione dei profitti tra Paesi produttori di petrolio e Paesi consumatori, con grave pregiudizio per le compagnie petrolifere che agiscono nel mezzo.
Mattei è accusato, nonostante l’aura di ingenuità che fa percepire di sé, di non avere scrupoli nel trattare in Italia con le maggiori compagnie petrolifere occidentali, utilizzando il proprio ascendente e il potere politico di cui dispone per indebolire finanziariamente le altre compagnie in vari mercati, specialmente in quelli dei Paesi in via di sviluppo.
Alle compagnie petrolifere britanniche e americane, come anche al governo di Londra, non va a genio che Mattei possa disporre e godere dell’appoggio del governo italiano, anche se si ammette che certe sue attività siano fonte di imbarazzo per lo stesso governo, mettendo in dubbio – se non in crisi – la percezione di lealtà nei confronti del patto atlantico.
Shell e Bp si dicono non disposte a concedere facilitazioni all’ENI in cambio di minacce o di richieste improponibili, giacché ritengono che in realtà Mattei non abbia nulla da offrire in cambio per poter entrare nei circoli petroliferi che contano.
Tre giorni dopo, un rapporto sempre del Foreign Office di Londra datato 4 novembre 1960, espone le crescenti preoccupazioni delle compagnie petrolifere inglesi, le quali «non sottovalutano il potere di Mattei, ma non ritengono che rendendogli la vita più facile possano riuscire a rendere meno difficile la loro».
Dopo poco meno di un anno, la situazione del presidente dell’ENI sembra «aggravarsi»; un rapporto confidenziale del Foreign Office del 17 febbraio 1961 riguardante l’attività economica, la ricerca di risorse e gli sviluppi dell’ENI, segnala che le operazioni dell’ente italiano per gli idrocarburi «non favoriscono le attività delle compagnie petrolifere inglesi e anglo-olandesi che rappresentano il punto di forza del commercio britannico d’oltremare ».
Secondo l’autorità britannica, l’ENI avrebbe utilizzato principalmente due strumenti per acquisire la posizione di vantaggio di cui gode al momento della stesura del rapporto: il taglio dei prezzi e la pressione politica.
Usufruendo dei prezzi vantaggiosi del greggio sovietico e avvalendosi della posizione di monopolio nazionale sul gas naturale, ENI può vendere il petrolio in Italia a prezzi estremamente concorrenziali e al ribasso, invadendo tutti i mercati fino a minacciare quello del Regno Unito: le compagnie petrolifere devono assolutamente cercare di contenere la competizione esercitata dall’ENI e controbattere alle false dichiarazioni che Mattei diffonde sul loro conto. Le compagnie inglesi dovrebbero essere tutelate da qualunque maldicenza o pressione esercitata nei diversi circoli ufficiali.
Alla fine del 1961, sempre il Foreign Office, in un rapporto del 7 dicembre si riporta una conversazione di Fanfani con l’amministratore delegato della Shell, Mr Hoffland; l’intervento del primo ministro italiano mira a ottenere una apertura da parte di Shell per mettere a punto alcune condizioni commerciali che permettano a Mattei di alleggerire la propria posizione e dipendenza dai russi; l’acquisto di petrolio greggio sovietico imbarazza il governo italiano, ma le compagnie petrolifere inglesi pare non vogliano sentire ragioni, argomentando, tramite l’Ufficio esteri inglese che non esistono giustificazioni per cambiare la propria posizione nei riguardi di Mattei.
Questi sta per iniziare l’installazione di settanta stazioni di servizio AGIP nel Regno Unito e gli vengono fatte pressioni affinché non commercializzi petrolio sovietico nel mercato britannico.
Di tenore più drammatico gli ultimi due estratti presenti nel libro; il 19 luglio 1962, in un rapporto confidenziale il Foreign Office parla del «Matteismo»: è innanzitutto fondamentale distinguere che esistono due aspetti diversi dello stesso problema; prima di tutto la competizione commerciale con l’ENI; e, in secondo luogo, ciò che potremmo definire «Matteismo ». In breve, il primo aspetto, finora, ha causato non pochi problemi agli addetti ai lavori, ma il secondo è potenzialmente molto più pericoloso per tutti, per gli infortuni commerciali in generale, e per la sicurezza delle forniture petrolifere mondiali. Non è un’esagerazione asserire che il successo della politica «matteista» rappresenta la distruzione del libero sistema petrolifero di tutto il mondo; in questa situazione, le compagnie petrolifere internazionali hanno tutto il diritto di difendersi dai suoi attacchi propagandistici.
Poco dopo la morte di Mattei, il 4 gennaio 1963, un altro rapporto confidenziale del Foreign Office di Londra ripropone al ministro inglese per l’energia alcune questioni che erano già state discusse prima che il presidente dell’ENI morisse nell’incidente aereo: riusciremo a neutralizzare la campagna anti-imperialistica che Mattei porta avanti contro le compagnie petrolifere? Si può fare una distinzione tra le attività dell’ENI e gli interessi del governo italiano?
Ci si potrebbe aspettare che l’Italia, senza Mattei, sia disponibile a portare la questione del petrolio russo al vaglio dell’Europa dei Sei?
Sono passati 60 anni!
E con lui non veniva assassinato soltanto un uomo, ma le possibilità del Paese di essere autonomo e di diventare una democrazia compiuta!
Sfidò i padroni del mondo! Ottenendo successi in tutti i continenti!
Morì povero perché, benché fosse l’uomo più potente d’Italia, ogni mese devolveva il suo stipendio ai bisognosi!
Dovettero ucciderlo per bloccarne l’intelletto e l’azione!
Ora, è difficile che qualcuno abbia pronunciato testualmente le parole: «dobbiamo uccidere Mattei». In questi casi vale sempre la teoria dei detti cerchi concentrici espressa molti anni fa da un collaboratore di Aldo Moro, Corrado Guerzoni; è sufficiente che in un certo ambiente rilevante per alcuni interessi politici e finanziari si manifesti preoccupazione per mettere in moto una macchina a compartimenti stagni nella quale ogni settore si mobilita sulla base degli input ricevuti dal settore gerarchicamente più in alto, in modo che ogni anello della catena del comando e della esecuzione di un delitto eccellente appaia disconnesso e impossibile da collegare agli altri, per rendere indimostrabile ogni possibile responsabilità diretta.
Chi deve capire in ogni settore dei centri concentrici capisce e agisce di conseguenza, come nella trama di un romanzo giallo o noir; solo che in questa realtà, a differenza di quanto accade nella letteratura, non si riesce sempre a scoprire il colpevole e il complotto o il segreto di Stato fanno calare definitivamente il sipario sulle possibili verità.
SIAMO ANCORA CON IL LACCIO AL COLLO DAL POTERE ANGLO AMERICANO E QUELLO CHE MATTEI STAVA CERCANDO DI TOGLIERCELO