DESERTIFICAZIONE DEL TERRITORIO, L’ALLARME CONTINUA
di Graziano De Tuglie ______
La siccità che sta interessando tutta l’Italia non è una novità, perlomeno per le regioni meridionali. E’ un fenomeno ricorrente che ha dato origine a numerosi studi scientifici e a svariate proposte di soluzione.
Il Mezzogiorno d’Italia è l’area geografica più interessata dal fenomeno che vi ha assunto una condizione endemica; ma solo quando il fenomeno interessa anche le ricche e prosperose aziende agricole settentrionali attira l’attenzione dei mezzi di comunicazione.
Come sta accadendo in questo 2022.
L’allarme è arrivato ai massimi livelli e sembra destinato ad attivare un nuovo stato di emergenza dopo quello dovuto alla pandemia.
Ogni giorno vengono pubblicati articoli, immagini e filmati che rappresentano lo stato siccitoso dei principali fiumi e laghi settentrionali, specialmente del Po.
Ma il problema non è mai stato affrontato in modo organico con interventi strutturali che mettano in grado il sistema idrico nazionale di provvedere ad una razionale ed efficiente gestione della risorsa idrica.
Tanto è vero che anche nei tanto decantati piani del PNRR alle infrastrutture idriche in particolare e alla gestione della risorsa acqua in generale è riservato il ruolo di Cenerentola.
Eppure i dati sono drammatici; secondo le statistiche Istat ogni anno nella rete degli acquedotti italiani vengono immessi 8,2 miliardi di metri cubi di acqua ma a destinazione ne arrivano solo 4,7 miliardi. I 3,5 miliardi mancanti vengono persi per strada per tubazioni vetuste e rotte; in termini percentuali le perdite del prezioso liquido ammontano al 42% dell’acqua immessa nella rete idrica.
Sempre l’Istat stima che eliminando queste perdite si potrebbe garantire la corretta fornitura idrica ad oltre 44 milioni di italiani, cioè ad oltre i due terzi della popolazione residente.
Le perdite sono soprattutto concentrate al Sud (a Bari si perde il 51,2% dell’acqua immessa in rete, a Catania il 54,7%, a Cagliari il 48,4%) ma anche a Roma non si scherza con perdite pari al 45,1% dell’acqua immessa nelle condutture.
Sono dati impressionanti ma plausibili quando si rifletta sul fatto che sono irrisori i fondi destinati alla manutenzione degli acquedotti. Ancora minori sono le risorse dedicate alla sostituzione delle tubazioni molte delle quali risalenti all’Ottocento.
Di fronte a queste imponenti falle esiste una oggettiva difficoltà dell’approvvigionamento primario dell’acqua; nel 2018 si prelevavano dai fiumi, dai laghi e dalle falde sotterranee 9,2 miliardi di metri cubi di acqua dolce. L’84,4% proviene dal sottosuolo il resto dalle risorse superficiali. Con particolari condizioni climatiche verificatesi nello scorso inverno, tendenzialmente in atto da qualche anno, come scarsità di piogge, forte riduzione delle nevicate e temperature invernali più alte del solito le risorse idriche superficiali sono in forte difficoltà e il loro apporto si riduce notevolmente.
La mancanza di interventi generali e coordinati aggrava la disponibilità di acqua per le necessità delle famiglia, per le necessità di produzione agricola ed anche per la produzione di energia. La produzione di energia idroelettrica sta calando paurosamente ed anche altri tipi di centrali elettriche sono in sofferenza per carenza di acqua da utilizzare per raffreddare i vari moduli di produzione che ne hanno necessità.
Sembra una catastrofe improvvisa ma, in realtà, gli scienziati lanciano allarmi da oltre trenta anni; in particolare Maurizio Sciortino (nella foto sopra), fisico ricercatore della sezione clima dell’ENEA, ha condotto con i suoi colleghi una lunga e capillare opera di sensibilizzazione sulle emergenze di carenza dell’acqua e sul forte rischio di desertificazione cui è soggetto circa il 26% del territorio Italiano, con Sicilia e Puglia ai primi posti. Pubblicazioni, conferenze, audizioni in tutte le sedi istituzionali hanno perorato la necessità di prevenire le gravi crisi idriche previste anche da studi internazionali e che riguardano l’intero pianeta.
A livello del nostro Salento Antonio Bruno (nella foto sopra), dottore agronomo esperto in diagnostica urbana e territoriale già presidente dell’Ordine provinciale, ha focalizzato il problema della siccità e dell’inaridimento del suolo proponendo misure drastiche di rifornimento idrico.
Bruno ha incentrato la sua visione della lotta alla siccità e all’incombente desertificazione del suolo nell’uso massivo dei reflui fognari depurati ed affinati ai massimi livelli previsti dalle leggi vigenti. Egli stima in 175 milioni di metri cubi annui la produzione salentina di reflui da depurare e riutilizzare per l’irrigazione agricola e per gli usi civili ed industriali senza sprecare preziose risorse idriche potabili. Con un risparmio economico pari a 42 milioni di euro a valori del 2008, data cui risale lo studio specifico.
Intendimenti in linea con quanto indicato già nel 1998 dal Water World Council e recepite nel 2020 dal Regolamento Europeo 2020/741 del 25 maggio 2020 recante “Prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua”.
A fronte di questo panorama di studi e conseguenti allarmi risalenti ai decenni trascorsi, i centri decisionali governativi sono passivamente inerti e colpevolmente ridotti a contrastare emergenze con mezzi inadeguati e soluzioni estemporanee.
L’acqua, indispensabile per la vita, e la sua gestione non può essere sopravanzata nelle priorità di utilizzo dei Fondi del PNRR dal recupero e ristrutturazione di vecchi manufatti ancorché di proprietà pubblica; insieme al dissesto idrogeologico il reperimento e la gestione delle risorse idriche dovrebbe essere la massima priorità da perseguire.
Ma quasi sicuramente nulla si muoverà fintantoché qualche goccia di acqua arriverà comunque nelle case degli Italiani.
Allora sarà troppo tardi.
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