SESSO, BUGIE E VIDEOTEL. ALLA LUCE DEGLI ULTIMI SVILUPPI DELLE INDAGINI, ABBIAMO PROVATO A SCIOGLIERE TUTTI I NODI RIMASTI AL PETTINE DI SIMONETTA CESARONI. CON L’AIUTO DEL GIORNALISTA E SCRITTORE ANTONIO PARISI, INFATICABILE ANALISTA DI MISTERI ITALIANI
di Flora Fina ______
“ Un altro fatto che salta di rado fuori nelle ricostruzioni è l’agendina: attribuita prima a Simonetta Cesaroni, e poi restituita ai familiari , si è scoperto essere in realtà di proprietà di Vanacore, il che vuol dire che Vanacore l’aveva dimenticata e a qualcuno aveva telefonato, aspetto questo , che conferma per l’appunto che il portiere fosse entrato in realtà nell’appartamento di Cesaroni e che avesse dimenticato così l’agendina. Quindi lui ha probabilmente visto, ma ha forse cercato di coprire qualcuno? Chissà cosa aveva nel cuore ”.
Si esprime così Antonio Parisi (nella foto sopra), giornalista e scrittore italiano, nonché grande esperto di storia – in merito al caso di Simonetta Cesaroni, che proprio negli ultimi giorni, torna alla ribalta con grande fervore mediatico e giudiziario, in seguito ai più recenti risvolti che vedono come principale indiziato del caso l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, venuto a mancare nel 2016.
Proprio in queste ultime ore infatti, emergono altri dettagli inquietanti sul delitto di via Poma: un caso che torna a fare parlare di sé sulle colonne del quotidiano “La Repubblica”, che dà spazio a un’intercettazione telefonica datata 16 marzo 2003.
A parlare è un uomo chiamato “Professore”, che dialoga con il tutor di Simonetta Cesaroni. A colpire nel segno, è proprio una frase pronunciata da quest’ultimo, che fa un chiaro riferimento esplicito proprio all’ indagato numero uno di oggi: “Sono convinto che tanto prima o poi finiscono con incastrà l’avvocato Caracciolo”, ossia il presidente regionale associazione degli Ostelli di allora, Francesco Caracciolo di Sarno.
La vicenda dunque, che sembrava trovare risposte quasi certe – anche se con tempi biblici – si complica ulteriormente, gettando sempre più sul caso un forte ed opaco alone di mistero giammai dissipatosi in tutti questi anni.
“ Si comprende quindi che questo non è un caso qualsiasi, e infatti, le successive vicende lo dimostrano. Una storia complicatissima. Depistaggi di ogni genere, come ad esempio la vicenda che avrebbe visto Vanacore uccidere un gatto con un solo colpo, per poi essere definito come un uomo capace di gesti così violenti, sino a renderlo il principale indagato della vicenda dell’epoca ”, continua Parisi. Pietrino Vanacore – uno dei quattro portieri dello stabile di via Poma n.2 – era ed è ancora emblema di un caso talmente intricato ed articolato da fluttuare tra supposizioni ed ipotesi di ogni genere, prima fra tante, quella di un suicidio sospetto, non per le circostanze sia ben inteso, ma per le condizioni psicologiche in cui poteva versare Vanacore (nella foto ) negli ultimi anni della sua vita.
Su di lui, e sul ruolo che ha potuto avere nel delitto, nessuno ha indagato più ulteriormente, tuttavia restano forti e solidi i dubbi e le supposizioni di un gesto così premeditato, soprattutto a distanza di anni dal delitto stesso: il suo cadavere infatti, venne ritrovato in trenta centimetri d’acqua, con una corda legata alla caviglia da una parte e dall’altra ben assicurata ad una scogliera nelle immediate vicinanze. I successivi rilievi da parte del medico legale, fecero emergere poi che l’acqua presente nei polmoni era acqua di mare. Nessun segno di violenza, nessuna traccia di qualche soffocamento per cause esterne.
Un suicidio in piena regola insomma, se non fosse per il fatto che “ Vanacore aveva un volto molto riconoscibile, e Roma uccide tutti dal punto di vista dell’immagine, e a Torricella, un paese con pochissimi abitanti, tutti sapevano chi fosse Pietrino Vanacore ” afferma Parisi, constatazione questa che ci fa comprendere quanto, dal punto di vista psicologico, il portiere di via Poma avesse sofferto di una condizione mentale ascrivibile probabilmente al senso di colpa per essere stato inconsapevole testimone di un omicidio così straziante ed efferato, oppure ascrivibile alla cappa di misteri e taglienti malelingue che aleggiavano sulla sua figura chiave da così tanto tempo, “sentendosi soffocato e non in grado di sostenere più ulteriori sospetti di tale genere […] proprio la storia dell’agendina rossa può aver avuto un ruolo fondamentale nell’impensierire Vanacore. Quella agenda dimostrava che il portiere dello stabile era stato probabilmente il primo ad essere entrato nell’appartamento senza allertare prima la polizia… Perché ? Le reticenze di Vanacore hanno consentito alla verità di essere occultata ” continua il Parisi.
Quale delle due ipotesi possa essere questo non ci è dato saperlo, ma resta comunque la certezza che il povero Vanacore di certo non fosse l’assassino della giovanissima Simonetta.
E dunque, il passaggio immediatamente successivo, riguarda gli altri innumerevoli intrighi messi sul tavolo delle supposizioni, come ad esempio la vicenda – mai verificata e dunque per questo motivo solo una mera ipotesi – che riguarda il ruolo di uno dei più importanti magistrati d’Italia, Mario Delli Priscoli, all’epoca dei fatti Presidente del Tribunale di Roma, divenuto poi Presidente della Cassazione.
Rara e preziosa è la constatazione che fa il Parisi a riguardo asserendo che “ L’aspetto più particolare di questa vicenda, riguarda proprio il figlio Lorenzo, oggi magistrato anch’egli, a sua volta autore di una bella canzone che potete andare a sentire su Youtube intitolata << Direzione Anagnina >> , Anagnina era proprio la metropolitana che ogni giorno Simonetta Cesaroni prendeva per andare a lavoro e poi successivamente per rientrare a casa. Può significare qualcosa? Non si sa.”
Certo è che negli anni Novanta, tante anzi tantissime furono le stranezze che caratterizzarono questa vicenda di cronaca nera, prima fa tanti la storia riguardante Emilio Radice, giornalista di Repubblica, primo fra tanti ad arrivare sulla scena del delitto quel lontano 7 agosto, e che quasi nell’immediato – ed è questa la prima bizzarria a far scalpore – venne raggiunto e preso sottobraccio da un magistrato che gli sussurrò “ Vedrà, Vanacore sarà rimesso subito in libertà. Non c’è una sola prova contro di lui ” e poi, sempre nell’autunno dello stesso anno “ Devo dirglielo…. è una inchiesta pilotata dall’alto, ci sono state pressioni… Chiaramente io non le ho mai detto nulla ”.
“ Ci sono casi come ad esempio quello di Emanuela Orlandi, che lasciano intravedere sullo sfondo, oscure vicende di potere: Repubblica come è noto, si occupa di questo caso da tempo. Come mai? Perché la mattina in cui al Tribunale della Libertà c’era un nugolo di giornalisti, un magistrato si avvicina ad uno dei cronisti presenti sulla scena, uno tra questi proprio della nota testata. Perché proprio Repubblica? Perché in quel momento, al pari del Corriere della Sera, era considerato il maggior quotidiano italiano -” spiega il Parisi a riguardo.
Anomalie su anomalie queste che si rincorrevano e continuano a rincorrersi, sino ad alimentare tuttora le molteplici disattenzioni investigative, una fra tutte quella che riguarderebbe proprio il magistrato Delli Priscoli, che abitava proprio nell’ ormai sfortunatamente celebre palazzo di Via Poma, come anche confermato da Parisi attraverso queste sue parole “ Nessuno scopre invece che nel palazzo abita uno dei magistrati più importanti d’Italia, il cui figlio è ad oggi un importante magistrato. Una delle ipotesi – che io non sono mai stato in grado di accertare – riguarda il complesso dei palazzi di via Poma, progettati e costruiti dall’ingegnere architetto coinvolto nelle indagini, ebbene in uno dei quattro palazzi abitava quasi probabilmente Mario Delli Priscoli ” continuando poi “Lui non ha certo responsabilità ma è curioso che non si sapesse nulla della sua abitazione nel complesso. Dunque c’è da chiedersi: abitavano altre personalità in via Poma n.2 di cui non si sa?”
Ed infine, ultimo nodo da sciogliere resta quello di una vicenda avvenuta – ben sei anni prima dell’omicidio di Via Poma – in circostanze altrettanto strane e bizzarre, se viste nella prospettiva che si para davanti al momento: quelle dell’omicidio di Renata Moscatelli, una pensionata di 68 anni (nota come “la signorina”), soffocata con un cuscino nella propria camera da letto dopo essere stata colpita alla fronte con una bottiglia semivuota di whisky, e residente anch’essa nella stessa identica scala, al fatidico n. 2.
Le indagini condotte dalla squadra mobile di Roma si conclusero con un nulla di fatto: non ci furono mai indagati né sospettati per la fatale aggressione. E proprio come per il caso della giovane Simonetta, a più di 30 anni dal delitto, ancora oggi il killer di Renata non ha un volto. Chi uccise l’anziana donna?
Stesso posto, stesso numero civico, stesse circostanze che non trovano, ancora per l’ennesima volta, alcuna risposta, come non trovano risposta ad esempio eventi altrettanto inquietanti come quelli descritti da Parisi in merito al sistema di chat dell’epoca, il celebre Videotel “ Le dico soltanto che alcuni giornalisti provarono a collegarsi attraverso internet, tramite il servizio di Videotel dell’epoca, mandando dei messaggi, messaggi che trovarono risposta, messaggi inquietanti. Se non fosse poi che, secondo altre versioni, dall’ufficio di Simonetta Cesaroni, sembrerebbe invece che non fosse possibile collegarsi al videotel ”.
In contrasto infatti alle varie versioni della vicenda, era noto agli inquirenti – ed anche ad alcuni testimoni – che all’epoca Simonetta chattava spesso dal suo videoterminale frequentando le stanze virtuali del Videotel, tecnologia antesignana dei moderni WhatsApp e Messenger dei giorni nostri. Senza ombra di dubbio, a quei tempi, la giovane era entrata in contatto con un misterioso ed inquietante utente di nome Death, e che – sempre secondo alcune ipotesi – avrebbe rivendicato la paternità dell’omicidio, come da una circostanza riferita alla procura di Roma, che però quest’ultima avrebbe accantonato non trovando nessun computer né in casa di Simonetta, né nel suo ufficio, come tra l’altro già ribadito.
Insomma, tutta la vicenda per trentadue anni si è sviluppata sui pilastri delle opinioni e delle supposizioni, alcune delle quali probabilmente fondate.
Ebbene se “ la coscienza dell’uomo non ha riposo se non nella verità ” non ci resta che fare una semplice constatazione: probabilmente il cammino per arrivare alla verità nuda e cruda sarà ancora lungo, estenuante e soprattutto arduo da percorrere, tuttavia, quelli che possono sembrare ostacoli alla chiusura di uno dei casi di cronaca nera più importanti ed intricati del panorama italiano, altro non sono che tasselli di un puzzle che forse, prima o poi, tornerà ad essere ricomposto in maniera chiara e nitida. _____
LA RICERCA nei nostri articoli del 23 e 25 marzo scorsi
Category: Cronaca