FIMMANA MARE E FOCU

| 6 Agosto 2013 | 0 Comments

Prosegue con successo al Castello Aragonese di Otranto (Le) la mostra “Giorgio de Chirico – Mistero e poesia” a cura di Franco Calarota che in meno di due mesi di apertura ha superato abbondantemente le 15 mila presenze. Dopo aver accolto oltre 200mila visitatori con le mostre di Joan Mirò, Pablo Picasso, Salvador Dalì e Andy Warhol, l’antico maniero idruntino ospita, infatti, sino a domenica 29 settembre le opere del maestro de Chirico che partito dall’Italia con la sua Metafisica, ha conquistato la scena internazionale fin dalla prima metà del secolo scorso, travalicando i confini dell’arte per influenzare con il suo universo artistico non solo la generazione successiva di pittori, ma anche letterati, filosofi, architetti e la psicanalisi. Sempre nelle Sale del Castello, Metafisica a sud, enigma di un pomeriggio d’estate, a cura di Raffaela Zizzari, ospita la proiezione di Metafisica a Sud. De Chirico, Magna Grecia, di Chiara Idrusa Scrimieri, un percorso tra docufilm e videoarte, un viaggio di lettura metafisica applicata al paesaggio sensibile della nostra Magna Grecia; le opere di quattro artisti pugliesi (Antonio Giannini, Beppe Labianca, Oronzo Liuzzi e Vincenzo Mascoli) e una sezione dedicata al fumetto con alcune tavole di Sebastiano Vilella.

Ricco e articolato anche il programma degli eventi (ad ingresso gratuito per i visitatori della mostra) che si alternano nelle sale e negli spazi all’aperto del Castello. Sabato 10 agosto (ore 21.30) appuntamento con la cantante, tamburellista, danzatrice e ricercatrice Anna Cinzia Villani che, affiancata da MacuranOrchestra, proporrà i brani del progetto Fimmana mare e focu (Anima Mundi, 2012). Fimmana, mare e focu! racconta la donna e le sue tante anime. Ma lo fa da una prospettiva insolita rispetto ai versi del repertorio tradizionale, che per la figura femminile adottano quasi sempre il punto di vista dell’uomo che la descrive come dea irraggiungibile, quando è vista attraverso gli occhi dell’innamorato, o invece come vipera, quando l’amore non ricambiato procura profonde sofferenze. Anche la donna canta poco di sé e del suo animo e quando lo fa è per lo più in relazione alla dimensione quotidiana e pratica della vita familiare e del lavoro nei campi, lasciando nell’ombra la sua vita interiore, i suoi desideri più nascosti. Fimmana, mare e focu! nasce invece da una lunga ricerca volta a individuare i testi tradizionali in cui la donna parla in prima persona delle sue emozioni (“Lu desideriu miu cu bessu cozza”, “Farnaru farnareddhu”), o che raccontano le sue tante vite in una sola di figlia, moglie, madre, nuora, suocera (“Fimmana, mare e focu!”, “Pizzica di Copertino”). L’album segna la maturità artistica della Villani, che qui si fa anche autrice di alcune liriche (“Luntananza”, “Tridici stelle”) e melodie (“Farnaru farnareddhu”) e che, accostando alcuni proverbi salentini, elabora il testo di “Fimmana, mare e focu!”. Accanto a lei la MacuranOrchestra, che mette assieme protagonisti delle scena tradizionale, world e jazz. La particolare combinazione porta ad arrangiamenti curati nei dettagli, che conservano la forza vitale della musica popolare, con le sue sonorità aspre e talvolta graffiate, ma la arricchiscono con i colori, le idee ritmiche e le armonizzazioni del world jazz. L’apertura è un sentito omaggio al compianto Piero Milesi. “Ìjo pucanè”, brano dal sapore molto diverso dal resto del disco, il cui testo è stato scritto da Gianni De Santis, fu arrangiato dal maestro Milesi per la voce della Villani e divenne la sigla di apertura de La Notte della Taranta del 2001. Il packaging, in carta riciclata, ospita in copertina un particolare di Scarpette rosse (2006), un’opera di carta di Teresa Ciulli (teresaciulli.blogspot.com), mentre il libretto interno di sedici pagine contiene le traduzioni in italiano e in inglese di tutti i testi. Il nuovo disco Fimmana, mare e focu! racconta la donna e le sue tante anime. Ma lo fa da una prospettiva insolita rispetto ai versi del repertorio tradizionale, che per la figura femminile adottano quasi sempre il punto di vista dell’uomo che la descrive come dea irraggiungibile, quando è vista attraverso gli occhi dell’innamorato, o invece come vipera, quando l’amore non ricambiato procura profonde sofferenze.

Tutte le domeniche di agosto (ore 19.00) i visitatori protanno assistere anche a Mamma Li Turchi, opera per ombre e cuntastorie di e con Francesco Ferramosca. Nello spettacolo di ombre, in una girandola di turcherie condite dal salace dialetto dei rudi abitanti dell’antico Salento, rivive la leggendaria epopea turco-salentina che tante tracce ha lasciato nella nostra cultura. Lo spettacolo parte da un lontano fatto storico – la presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1480 – e da musiche, testi, canti di pianto e d’amore dell’antico Salento, uniti in un solo percorso tra presente e passato. Così un reputo (o pianto funebre), una filastrocca popolare, una nenia, trovano un nuovo spazio culturale, vitale e attuale. La memoria, e in particolare la memoria di un fatto di sangue, a cosa può servire? A confrontarci con la storia dei nostri giorni e attingervi nuova dignità ed energia. A renderci conto, se mai ve ne fosse bisogno, che là dove esiste sopraffazione e morte, non si persegue soltanto la distruzione dell’uomo ma si innesca la terribile spirale della violenza. Lo spettacolo termina con il martirio degli otrantini sconfitti: questi morti non chiudono un episodio del passato ma aprono i dubbi sulla consapevolezza del futuro. Cioè del nostro presente. Lo spettacolo è ispirato e influenzato dal romanzo “L’ora di tutti” di Maria Corti.

“Vista dal mare, Otranto appare ancora una fortezza, con i bastioni a picco sull’acqua, ma dietro la vuota abbondanza di mura e torrioni, un prodigio di viuzze bianche in salita, in discesa, di casette bianche, di palazzotti tufacei. In queste viuzze i fatti della storia sono rimbalzati, come pomi maturi, da un secolo all’altro, e giunti fino a noi: qui le palle delle bombarde turche, scagliate cinquecento anni fa, reggono i gradini d’accesso alle case o adornano la soglia al ‘salone’ del barbiere, all’ufficio postale, situate ai due lati dell’ingresso”, prendendo spunto da questo breve passaggio di Maria Corti sono state pensate e realizzate le palle delle bombarde, simbolo di attacco ma anche di difesa, che sono diventate parte integrante dell’arredo urbano della Città di Otranto. Nel 2013, anno della canonizzazione degli Ottocento Martiri di Otranto, le palle delle bombarde sono la sintesi di un’esemplare storia di rinascita che parte dal lontano 1480. Nel bookshop si troverà una tiratura limitata di 30 esemplari in ferro battuto con lo stemma del Castello Aragonese.

Il Castello Aragonese di Otranto è un contenitore culturale gestito dall’Agenzia di Comunicazione Orione di Maglie e dalla Società Cooperativa Sistema Museo di Perugia, con la direzione artistica dell’architetto Raffaela Zizzari.

La mostra è aperta tutti i giorni.

Orari: luglio e agosto 10-24; settembre 10-21.

Ticket d’ingresso: intero € 7,00; ridotto € 4,00 (6-14 anni, oltre 65 anni, scolaresche, diversamente abili e relativi accompagnatori, gruppi superiori a 20 unità, convenzioni attive). Titolari Otranto Card: intero € 6,00.

Audioguida: singola € 4,00; doppia € 6,00.

Visita guidata di gruppo su prenotazione (in italiano, inglese o francese)

• solo mostra: gruppi 80,00 euro + ticket d’ingresso; scuole 60,00 euro + ticket d’ingresso

• mostra + castello: gruppi 100,00 euro + ticket d’ingresso; scuole 80,00 euro + ticket d’ingresso.

Category: Costume e società

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