IL MIO DISCO 2021: AIRPORTMAN, “Across the flatlands”

| 20 Dicembre 2021 | 0 Comments

di Roberto Molle______

Dicembre è tra le tante altre cose il mese in cui si tirano le somme, si fanno bilanci e progetti per l’anno che verrà. Per gli appassionati di musica diventa occasione piacevole per tracciare la propria playlist dei dischi più belli usciti nell’arco dei dodici mesi.

Di solito si scelgono cinque o dieci titoli, li si mettono in ordine di importanza, di qualità musicale, di stima nei confronti del musicista e, spesso, semplicemente per l’impatto fulminante avuto al primo ascolto.

 

Idealmente scelgo di mettere nella mia lista un solo disco (anche se potrei fare i nomi di almeno una cinquantina di album usciti nel 2021) che mi è piaciuto molto e regalato buone vibrazioni. Quest’anno Il titolo dell’album è “Across the flatlands” e i musicisti che gli hanno dato vita si muovono nell’ambito di una formazione che risponde al nome di Airportman.

 

Inizio col dire che l’incontro con la musica degli Airportman è avvenuto in modo abbastanza curioso ed è culminato in tempi non lontani con la collaborazione degli stessi musicisti ai miei due progetti dedicati rispettivamente a Nick Drake e Ian Curtis.

Avevo conosciuto i fratelli Calignano (musicisti dei “Corpo”) di Montesardo e raccontato la loro incredibile storia musicale qualche anno fa su leccecronaca.it; grazie a loro ero entrato in contatto col nipote Giuseppe, musicista e polistrumentista (fondatore dei Muzak prima e titolare unico del marchio The brain olotester poi).

 

Ero alle prese con la selezione dei musicisti da invitare al progetto “Il delicato mondo di Nick Drake” e chiesi a Giuseppe Calignano se volesse essere dei nostri, ma in quel periodo faceva il ricercatore universitario in Norvegia ed era troppo impegnato, a malincuore declinò l’invito.

Non mancò però di farmi il nome di Paolo Bergese, un musicista abbastanza “sopra le righe” di Cuneo. Chiamai Paolo che fu molto entusiasta dell’idea e propose di tirare in ballo nel progetto gli Airportman. Da lì si arrivò direttamente a “Be snow” creata per Nick Drake e “Eyes in the fog” per Ian Curtis.

 

Airportman nasce nel 2003 da un’idea di Giovanni Risso e Marco lamberti; nella sostanza si tratta di un progetto musicale che gravita entro spazi dettati da un’attitudine post-rock strumentale e muove da contrafforti precisi: Radiohead, Tortoise, elettro-jazz di frontiera e rimandi a modulazioni di psichedelia delicatamente invasiva. Nell’arco di diciotto anni con leggere variazioni di organico gli Airportman hanno realizzato diciassette album.

 

“Across the flatlands” è uscito da una manciata di settimane, la copia in mio possesso è in formato vinile accompagnata da alcune splendide foto del fotografo Francesco Sala, in realtà il disco sembra essere stato realizzato in simbiosi con i suoi scatti (il suo nome compare in copertina insieme ad Airportman). Artigiani suonatori che hanno dato vita all’album sono i già citati Giovanni Risso (chitarra acustica, sintetizzatori, mellotron e percussioni) e Marco Lamberti (pianoforte e chitarra elettrica). Tutto il materiale è stato mixato all’Oxigen Recording Studio di Verzuolo da Paride Lanciani.

 

“La bellezza di “Across the flatlands” esplode subito agli occhi, a cominciare dalla foto crepuscolare in copertina (altre, presenti all’interno, sono associate a ognuno dei nove brani presenti nel disco).

È questo un album che racconta di attraversamenti e territori immaginari e immaginati, di pianure a perdifiato e afflato di venti che s’incrociano sullo sfinire del giorno. Poi steppe rubate sul confine armeno e riposizionate idealmente in ogni spazio iper-urbanizzato, a disintossicare, a depurare.

Respiri fingerpicking spruzzati sul nero del vinile che vira a un blu oltremare; accenni di catarsi che crescono con i suoni mentre si accendono lucciole in giardino, e la figura dell’ulivo mezzo morto che resiste mentre s’infrange sullo skyline della luna che risale. C’è oscurità in questo disco, ma c’è tanto altro: rinascita, bellezza, passione, fantasmi, solitudine, speranza, paura, tormento… vita”.

 

Questo è quanto scrissi di getto in un post su facebook (un paio di settimane fa) al primo ascolto di “Across the flatlands”, riproponendomi di tracciare con gli ascolti successivi e l’ausilio delle immagini di Francesco Sala, un quadro audio-visivo di ogni brano.

Qualche ascolto dopo, messo a fuoco l’album, brano dopo brano sono venute fuori queste istantanee (naturalmente i musicisti avranno avuto in testa altro quando hanno composto la loro musica); ma poi ognuno, ascoltando il disco, potrà costruirsi i propri scenari, basta la musica e un po’ di immaginazione.

 

INTRO: Pulsazioni rarefatte che lambiscono passi lenti nella nebbia. Mentre i suoni si fanno spazio si materializzano scenari con sullo sfondo le Langhe di Fenoglio; Milton e il partigiano Johnny non sono stati mai così vicini, grazie alla musica.

LUX INTERIOR: Una macchina da presa si muove in piano-sequenze rallentate. Una croce illuminata da un sole innaturale. Non è mai giorno nei luoghi evocati dalla musica degli Airportman. Un organo timido spinge tutto verso un richiamo ancestrale e misterioso. Un respiro di campane tubolari accompagna sagome indefinite che si alzano dalla terra verso il cielo.

HERE COMES THE DARKNESS: La luce si abbassa inesorabilmente, soffocata da nuvole di metallo. Il rudere di una vecchia casa si staglia nella desolazione di una notte senza luna. L’umidità liberata da suoni minimali si libera attraverso un vocalizzo sintetico che a tratti si fa umano, e come dentro “Ex machina” monta inquietante un interrogativo: potremo mai provare sentimento per un androide?

IN THE GHOST OF ELECTRICITY: È sempre notte. Una luce fioca trasfigura fantasmi in ologrammi di suoni elettrificati. Un respiro enorme alita nel gelo del buio purificando l’aria.

CROOKED: Qui i fantasmi sono palpabili. Fatti di aria e luce giallognola, alimentati dall’acqua che cade scrosciando sopra una campagna arrossata popolata da alberi in lenta agonia.

DEVOTION: Nuvole che si rincorrono dentro un B-movie americano. Un arpeggio di chitarra s’insinua dolcemente tra un riverbero leggero e un synth solitario. Qualcosa deve arrivare, questo è l’annuncio. La camera si sposta ancora inquadrando un’icona sacra sbiadita dentro un’edicola votiva, protetta dall’ombra inesistente di un albero scheletrito.

RINASCITA: La speranza non muore mai veramente. Resta lì, nascosta da qualche parte dentro di noi, pronta a spuntare allo zenith del dolore, quando tutto sembra voler morire. In quel punto i suoni si fanno filastrocca di rime che alleggeriscono le paure, e tutto si fa giocoso.

BURN: Si scorgono in lontananza piogge torrenziali, carcasse di tralicci e capannoni di fabbriche abbandonate. Di tanto in tanto saette di fulmini infilzano il vuoto. Il caos è scandito da rintocchi di piano e tamburi pestati con le mani. Un suono di corno entra leggiadro virando verso i lidi di un jazz sussurrato, poi l’inquietudine si stempera dentro una schiarita immaginaria.

BEALERA: Un banjo (forse un dobro) con le sue corde vibrate sposta tutto verso immaginari folk, dalle parti delle Montagne Rocciose (per intendersi). È il finale di questo disco fantastico, un finale senza troppa enfasi… come per dire “è stato solo un passaggio” oppure “to be continued”.

 

Link ad alcuni brani di “Across the flatlands”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Category: Cultura

About the Author ()

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Connect with Facebook

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.