NOTE D’ARTE / LA PREZIOSA MOSTRA PERSONALE DI ELISABETTA DE GIORGI A GALATINA DA SABATO 6
di Raffaele Polo______
S’inaugura, il 6 novembre, a Galatina, nel Museo dedicato a Pietro Cavoti, Palazzo della Cultura, in piazza Alighieri, 51, la preziosa mostra di Elisabetta De Giorgi (nella foto di copertina, durante la cerimonia di una premiazione, la prima a destra), aperta dalle ore 11.
Al giorno d’oggi, non esiste una categoria di ‘arte religiosa’ degna di questo nome: in realtà, solo nell’architettura degli edifici destinati al culto, si può notare una certa armonia di intenti, ricercatori di giochi di luce e altezze che colpiscano il credente e lo facciano riflettere sul ‘trascendente’.
Ma, proprio all’opposto di quello che è stato, per secoli, il retaggio della pittura a tema religioso, non vi è più l’istanza di ‘catechizzare’ i credenti, ovvero di spiegare, illustrare e additare grazie alle rappresentazioni sacre quale sia il messaggio che si vuole inculcare nella mente e nell’animo del credente.
Niente più figure semplici o complesse, niente più affascinanti viaggi nella iconografia religiosa o nei sacri martirologi. Oggi, non c’è più tempo per queste che vengono considerate superflue e ripetitive forme di semplicistiche rappresentazioni, destinate alle schiere di fedeli che, ormai, hanno bisogno di altro che non siano le immagini sulle pareti della chiesa o nelle vetrate.
Insomma, il panorama è drasticamente cambiato e gli stessi artisti si cimentano raramente con l’argomento del ‘divino’, lasciando a pochissimi coraggiosi la frequentazione e la illustrazione tradizionale di santi e madonne, proprio come era nel passato e come la devozione popolare vuole che sia.
Diciamo del Cristo che è sempre biondo e con i capelli lunghi, gli occhi azzurri e la statura media, la Madonna dalla figura esile e con la testa velata, dai caratteri decisamente mediterranei… Sì, c’è una Madonna Nera e la Madonna di Guadalupe: ma sono anch’esse legate strettamente agli stereotipi più tradizionali.
In questo panorama si staglia la produzione peculiare di Elisabetta De Giorgi che, da tempo, affina il suo percorso proprio nelle vicende religiose legate ai Vangeli e all’immagine di Gesù, sublimata nel suo recente studio su Sacro Cuore, con la bella opera a colori su vetro, donata alla chiesa matrice di Soleto.
Il percorso di Elisabetta si arricchisce di altri due interessanti ed esplicativi momenti artistici, destinati a corroborare la interessante stesura della ‘Bona nova secondu Marcu’ che altro non è che la trasposizione del Vangelo di Marco in dialetto salentino, in un tentativo più unico che raro di rendere nella Parola tutte le solleticanti sfumature del nostro millenario idioma.
Ebbene, nella semplici, curate rappresentazioni della guarigione del paralitico e dell’emorroissa, i messaggi che, senza parere, la brava artista ci lascia, sono da connotare positivamente a da considerare con attenzione.
Ora, diciamolo francamente: non è per nulla facile, nel contesto contemporaneo, effettuare interventi pittorici nel campo religioso. Venuto meno quel rassicurante senso di ‘catechesi’, ovvero di spiegazione per il popolo dei fedeli non particolarmente acculturato, si pone l’esigenza di dover simboleggiare o, al meglio, instradare la Fede in un percorso molto labile e fuori dalla portata semplice ed efficace della visione immediata. Bisogna, insomma, aguzzare l’ingegno e suggerire senza parere, connotare quasi casualmente, stupire con semplicità, manifestare il proprio consenso senza peccare di esagerata condivisione…
Ecco, allora, che il messaggio grafico e pittorico di Elisabetta rivela tutto il suo spontaneo, evidente spessore. Elisabetta ci presenta le figure nella loro estrema semplicità, utilizzando semplici segni per convogliare l’attenzione verso la figura di un Gesù che, grazie al drappeggio, tende sempre verso l’alto, in evidente contrasto con chi lo attornia.
E’ uno studio che consente un muto dialogo con l’osservatore che, peraltro, non si accorge subito di questa sapiente costruzione, realizzata dalla mano maestra di Elisabetta che stupisce con i suoi segni brevi e sicuri, re-inventando una vera e propria modalità di interpretazione di una religione che deve avere, soprattutto nell’attualità, una presentazione della massima semplicità, per colpire ed affascinare proprio con la linearità e la concinnitas, senza indulgere neppure col colore…
Proprio in antitesi con la tradizionale e dirompente rappresentazione dei fasti religiosi nei secoli passati. E, come nella nuove cognizioni architettoniche, anche nei disegni di Elisabetta, si gioca tutto sulla gestione degli spazi, nell’alternanza delle linee rette e curve, a voler ribadire con forza una semplice idea di Amore e Parola che era stata trascurata, fino ad ora…
C’è, poi, l’idea portante dell’episodio dell’incontro di Gesù con l’emorroissa, molto vicina alle idee legate alla fisica e alla gestione delle ‘forze’: Gesù, infatti, senza voltarsi e in mezzo ad un assembramento di persone che, intuibilmente, lo sfiorano, lo toccano, magari fino a spintonarlo, percepisce che una energia, una forza, si diparte dal suo essere, indirizzata verso la realizzazione del miracolo. Cos’è questa ‘energia’ e come spiegarla? Pensate: riuscire a realizzare, graficamente, questo concetto non è per nulla facile. Eppure, il segno di Elisabetta riesce nella difficile impresa. Ed ecco che, con semplici segni, abbiamo la realizzazione del messaggio essenziale che ci viene dalla Parola, quel messaggio che deve rimanere nei nostri cuori e lì produrre frutto.
Insomma, davanti alla sobria semplicità di questa artista, bisogna porsi le domande fondamentali che, più che in altri autori, sono un vero e proprio interscambio con chi guarda, medita, capisce.
Un discorso leggermente diverso va fatto per la sua creazione su vetro, dedicata al cuore di Gesù. ‘Stavolta, infatti, l’artista non ha seguito i tradizionali insegnamenti dei maestri vetrai dei secoli passati, abilissimi nel trasfondere sfumature e prospettive sulle lastra trasparente, giocando abilmente sulla luce che, con la sua forza, abilmente filtrata, dona all’immagine una altrimenti irrealizzabile corposità. Elisabetta, al contrario, veste la sua immagine, il suo Gesù, di una delicata semplicità, dove il colore non la fa da padrone ma è quel trattare la materia compitamente, quasi fosse un puzzle da costruire, a creare una vera e propria aura che rende perfettamente il senso della Fides che trascende e tutto coinvolge. Un vetro che non è una finestra, un filtro per la luminosità, ma è un solido piano sul quale tracciare un discorso fatto di un esplosione di preghiera, di palpitante silenzio, di pulsazioni rappresentate da onde di colori in apparente contrasto…
Pochi, essenziali momenti, una scarna tavolozza e una parca gestione del segno sono, ancora una volta, il terso risultato dell’avvincente fare pittorico di Elisabetta. Una efficace, intrigante scelta di semplicità che coniuga perfettamente l’animo dell’Artista con il suo fervido credo cristiano
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