Mi aspetto che la cultura…
“Mi aspetto che la cultura, anche letteraria, ritrovi entusiasmo e coraggio, che emergano disegni di futuro, progetti di cambiamento, nuove forme di bellezza”. IN UNA INTERVISTA IN ESCLUSIVA A leccecronaca.it GIUSEPPE YUSUF CONTE, A TUTTO CAMPO, RILANCIA CON FORZA E LUCIDA DETERMINAZIONE IL SOGNO DELLA SUA VITA
di Chiara Evangelista______
“La cultura è quello che c’è nell’uomo di umano / che va salvato se non vogliamo ricadere / nella barbarie degli istinti primordiali/ o diventare taciti zombi […]”.
Con queste parole si era rivolto lo scorso 4 novembre il poeta e scrittore Giuseppe Yusuf Conte (nella foto, di Dino Ignani) al Ministro Franceschini nella sua “Lettera in versi”, pubblicata sul profilo social dell’intellettuale
(qui il link per leggere la lettera completa:
Leccecronaca.it ha tentato di aprire un dialogo con il Ministero in merito al lucido appello del poeta ma ancora non si ha una replica da parte del Potere.
Giuseppe Yusuf Conte, invece, ha risposto alle nostre domande, che si son rivelate essere un terreno di confronto fertile di spunti di riflessione.
Qui di seguito l’intervista in esclusiva rilasciataci dal Maestro, che ringraziamo di cuore.
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<<Una politica che è stata ridotta nel nostro Paese a baratto, compromesso, vergogna, corruzione. Non credete che questo non sia nemico della Poesia. Per non parlare di una borghesia che si è in qualche modo instupidita, involgarita… La Poesia è per una cultura che ridiventi Energia Spirituale>>.
Era il primo ottobre del 1994 quando Lei pronunciò queste parole durante l’occupazione pacifica della Chiesa di Santa Croce a Firenze insieme al Capitano Tomaso Kemeny. Cosa è cambiato da allora? Quali scenari politici e culturali si sono presentati nel terzo millennio?
Il discorso di Santa Croce conteneva un giudizio negativo sulla classe dirigente italiana dal punto di vista della cultura e dello spirito.
Mi rifacevo a un verso dei Sepolcri di Ugo Foscolo in cui veniva stigmatizzato “il dotto, il ricco ed il patrizio vulgo” condanna in cui il poeta accomunava intellettuali, borghesi e aristocratici. Cioè l’intera classe dirigente del tempo. Non distinguevo tra destra e sinistra, entrambe le parti mi apparivano lontane dal sapere, dalla consapevolezza di che tradizione artistica, letteraria, musicale fa la grandezza del nostro politicamente sventurato paese.
Cosa è cambiato da allora?
Molto, moltissimo, c’è stato l’affacciarsi del terrorismo islamico con l’attacco alle Torri Gemelle e poi con il sogno sanguinario del Califfato, si è acuito terribilmente il problema del mutamento climatico e dell’avvelenamento della terra e del mare, c’è stata la crisi dei mutui subprime che ha devastato, a partire dagli Stati Uniti, tutto il mondo, e l’affermarsi, come non si era mai visto nella storia dell’umanità, del principio che conta solo la finanza globale, l’economia e la tecnica, che il denaro è al vertice di tutti i valori.
E poi si sono affermati capillarmente i cellulari e i social: oggi pochi centimetri quadrati di smartphone tengono in sé il novanta per cento delle nostre vite, in una infinita rete di comunicazione.
L’unica cosa che non è cambiata è la inadeguatezza e la miseria del ceto politico e di buona parte del ceto intellettuale,
I politici sono stati pronti ad impossessarsi del social, tanto che oggi persino comunicazioni ufficiali del Presidente del Consiglio vengono spesso date sulla propria pagina Facebook, in un misto di vanità, superficialità e impudenza.
Avete mai sentito un politicante fare un discorso serio sul rapporto con il mondo arabo e l’Islam? O un discorso serio sul rapporto con la natura e sulla salvezza del Pianeta Terra? O sul rapporto tra economia globale e mutamenti climatici, su inquinamento e epidemie? O sulle isole di plastica che infestano il mare? O sull’immenso arricchimento di pochi a petto dell’impoverimento di miliardi di esseri umani?
No, allora mi muoveva l’istinto ribelle della giovinezza, ma anche ora ripeterei un giudizio del tutto negativo sulla cultura della classe politica italiana. E forse con più rabbia e determinazione di allora.
Allora me la prendevo con chi aveva ventilato l’idea di abolire i Licei. Oggi, con le scuole tenute chiuse più che in qualunque altro paese europeo, sintomo del disprezzo verso il sapere, l’insegnamento, la scuola di politicanti ignorati e spiritualmente corrotti.
Oriana Fallaci sosteneva che l’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla. Con la sua “Lettera in versi” indirizzata al Ministro Franceschini Lei ha dimostrato ancora una volta la sua natura di intellettuale impegnato civilmente. Perché però, a suo avviso, la maggior parte degli accademici e degli uomini di cultura resta nelle proprie torri d’avorio? Pochi hanno alzato la voce…
Le confesso che Oriana Fallaci non è tra i miei punti di riferimento. Ma con altrettanta franchezza devo dirle che le prese di posizioni frontali della Fallaci mi piacciono anche quando non le condivido.
Che l’uomo di cultura debba reagire è sacrosanto: reagire all’imbarbarimento, al conformismo, al servilismo, alla perdita di principi. Sono d’accordo che se non ha questa funzione critica la cultura non serve a nulla.
Le dirò di più, anche la letteratura, la poesia, se non contribuiscono oggi a sconfiggere la barbarie che distrugge lo spirito, la bellezza, il sacro, mi sembrano cose vuote, giochi di società, piccole ricerche di autoaffermazione.
Mi chiedo perché scrivano poesis coloro che non si pongono di fronte ai temi della vita, della morte, del mistero. Si possono fare belle pagine, come no, ma chi se ne frega. Leggo autori che alimentano il mio spirito, di quelli che scrivono belle frasi non so che farmene.
Ho scritto la mia Lettera al ministro Franceschini per piangere la morte della cultura, prendendo la struttura retorica del discorso di Marcantonio che piange sulla morte di Cesare e si rivolge a Bruto come “uomo d’onore”, nel Giulio Cesare di Shakespeare, portato al cinema da un attore da me amatissimo, Marlon Brando.
Ho sfidato il potere con l’ironia e con delle precise accuse: ma non mi aspettavo risposta.
Oggi il punto di vista di un uomo di cultura per i politicanti non conta niente: oggi vengono ascoltati influencer e rapper, in omaggio ai grandi numeri delle loro visualizzazioni. A nessuno viene in mente che quei grandi numeri sono inversamente proporzionali alle idee che hanno in testa.
Quindi io so di parlare nel deserto, di essere un donchisciotte, di lavorare per il futuro, per un sogno di futuro, una inversione di rotta, una pacifica rivoluzione del pensiero. Perché altri stiano zitti, non so. Avranno qualcosa da guadagnare, o il timore di perdere qualcosa.
Gli artisti sono gli anticorpi che la società si crea contro il potere, volendo citare De Andrè. Questa definizione può essere estesa anche ai giornalisti e al mondo dell’informazione. Il caso più recente è stato quello delle emittenti televisive che hanno interrotto il collegamento durante il discorso del Presidente Trump. È un esempio di lotta al potere, di tutela della verità? È stata una risposta alla locuzione latina “chi sorveglierà i sorveglianti stessi?”
Guardi, l’informazione fa quello che può. I giornalisti si dividono tra quelli che suonano il flauto al potere, qualunque esso sia, e quelli che fanno inchieste e non guardano in faccia nessuno.
Può anche capitare che altri passino dalla pratica di una opposizione brillante e feroce al concertino flautato in omaggio del nuovo potente di turno, penso a Travaglio e ai suoi continui assoli di flauto all’attuale premier.
Il giornalista dovrebbe sempre essere critico, non per un partito preso, per una voglia di negativo o uno spirito distruttivo, tutt’altro, ma perché il suo compito è sorvegliare il potere, spronarlo, esercitare un diritto democratico di controllo in nome dei cittadini-lettori.
Nella mia lunga attività di collaboratore di giornali, ho sempre fatto prevalere il mio essere un libero scrittore, che deve rispondere soltanto alla sua coscienza e ai lettori.
Ho talvolta scosso il potere amministrativo in Liguria, dove vivo, non obbedendo a una logica faziosa al servizio di una parte ma obbedendo soltanto alla mia libertà e dignità. E poi, come viaggiatore e cittadino del mondo ho denunciato l’attacco alla natura, l’avvelenamento dell’aria, lo sfruttamento brutale delle risorse del pianeta, la disumanizzazione della vita nella società dell’economia e della tecnica sin dagli anni Settanta del secolo scorso.
Quando ho preso posizioni, l’ho fatto frontalmente, come quando ho difeso le ragioni dei Nativi Americani e dei ribelli irlandesi, esaltando il sacrificio di Bobby Sands.
Sulla pandemia, mi piacerebbe che l’informazione incalzasse il potere. È stato detto chiaramente che il vaccino della Pfizer è trasportabile a una temperatura di -80 gradi, e che non esistono celle frigorifere in Italia che scendono a quella temperatura. Ne prende atto il Governo, e comincia a provvedere ora, prima che il vaccino arrivi e noi siamo in difficoltà a trasportarlo?
È un esempio, ma dice cosa per me dovrebbe fare la stampa. Incalzare, non dare tregua a quei potenti che si auto incensano e che ripetono che tutto va nel migliore dei modi. Certo, per loro, che nel bel mezzo della pandemia se ne stanno al calduccio del potere, con tutti i vantaggi che comporta.
Quali sono le sfide che il mondo culturale dovrà affrontare dopo la pandemia e quali azioni suggerisce per la ripresa del settore?
Credo che la pandemia abbia sfidato e messo in ginocchio il nostro modo occidentale di vivere.
Ha fatto vittime, verso le quali va tutta la mia pietà, ha provocato ondate di depressione e di angoscia che hanno travolto tanti, io tra questi, ha creato voragini nell’economia e nel lavoro, impoverendoci tutti a tutti i livelli perché in pochissimi possano trarne vantaggi miliardari.
Una volta che sarà finita, resteranno macerie. Ma quando si tocca il fondo, una legge fisica vuole che si rimbalzi verso l’alto.
Mi aspetto che la cultura, anche letteraria, ritrovi entusiasmo e coraggio, che emergano disegni di futuro, progetti di cambiamento, nuove forme di bellezza. Ma innanzi tutto mi aspetto che rientrino nel campo della cultura la scuola, con un serio, serissimo discorso sui fini dell’insegnamento e sulla sostanza dei programmi, stiamo qui a parlare di banchi con le rotelle, ce ne rendiamo conto in che abisso siamo scesi?
E la sanità pubblica. Che venga cancellata con ignominia l’idea che la sanità sia trattabile come una azienda che deve fare profitto. L’essere umano non è quantificabile in denaro, la sua salute neppure.
La vita è sacra. Quella dell’uomo, quella del Pianeta. Ecco, mi aspetto che si lavori su temi così, e che emergano nelle future classi dirigenti tempre umane nuove, in grado di farlo.