MONOLOGHI DELLA VAGINA / “Voglio parlare di sesso”
di Giuseppe Puppo______
Chi ama il teatro – perché il teatro non è come le altre attività artistiche, è diverso: bisogna amarlo, per conoscerlo e per frequentarlo – sa che I monologhi della vagina, The Vagina Monologues, di Eve Ensler, è una delle opere più importanti degli ultimi decenni, pure una delle poche rappresentazioni nuove e originali contemporanee (nella foto, l’attrice Anna Manuelli durante uno spettacolo a Firenze).
Ieri, ne ha scritto un altro, un monologo della vagina, breve, conciso e compendioso, Claudio Lotito: «Ma che vuol dire positivo? Positivo vuol dire contagioso, no? Anche nella vagina delle donne, di tutte le donne del mondo, ci sono i batteri. Ma mica tutti sono patogeni, solo alcuni in alcuni casi diventano patogeni e degenerano.
Anche Tare è positivo, ma oggi nessuno ti dice se uno infetta oppure no. C’è un’aleatorietà dell’interpretazione dei risultati. Per me la valutazione la deve fare il medico…Il medico lo ha valutato, gli ha rifatto l’idoneità sportiva, la capacità polmonare a riposo e sotto sforzo e stava meglio di prima. L’esposto di Cairo alla Procura? Mi odia a morte dopo che ha perso con me, i suoi giornali mi attaccano per questo. Ma perde sempre, è ultimo in classifica».
No, non era in scena, bensì proiettato su di uno stadio, parlava di un calciatore del quale gli era stato contestato l’impiego, ma il presidente della Lazio è un personaggio teatrale, anzi proprio da commedia dell’arte: un po’ Balanzone, saccente in salsa romana; un po’ Pantalone trasportato con la sua tirchieria dalla laguna a Ostia Lido; un po’ Brighella che si crede furbo, giunto da Orio al Serio a Fiumicino.
Ieri, poi, con la su citata intervista a La Repubblica, ha fatto il botto: su internet è stata vera e propria apoteosi, nel bene e nel male.
Segno dei tempi.
Meglio, o peggio, fate voi, del latte al plutonio inventato qualche giorno fa dal presidente della Regione Campania nei confronti di una bambina che voleva tornare a scuola, per denigrare la mamma, invece di essere contento del rimpianto per quello che egli aveva negato.
Ora, non ho voglia ovviamente di parlare di calcio, e nemmeno di pandemia, e di gestione politica della pandemia.
Voglio parlare di sesso.
Lo anticipo, non è per crisi di astinenza, tanto meno per fare un ripassino veloce, no, in questa perdurante così detta emergenza sanitaria.
E’ per trovare una ragione per a questa così detta emergenza sanitaria sopravvivere.
Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha.
E insomma, hai voglia tu di mettere la mascherina al… A che cosa e di qualche mascherina si tratti, inutile specificarlo.
Piaccia o non piaccia, comunque, per quanto uno voglia in qualche modo tutelarsi, il sesso è un uragano che si scatena sotto cui si ritrova senza scampo, fatto di liquidi vitali, saliva, sperma, urina, sudore, il dolce e salato di odori forti, il fiato pompato a dismisura, il respiro amplificato all’eccesso, una bomba atomica di virus, microbi e batteri.
Amen. E intelligentibus pauca.
Se uno dovesse pensarci ogni volta prima, a ‘ste robe qua, a tali evidenze, non farebbe mai più sesso e in nessun modo.
Eppure, il sesso, quello che il Poeta chiamò amor, è l’energia primordiale, che move il sole e le altre stelle.
E’ il nostro chiodo fisso, che accomuna maschi e femmine, e che, come disse il Profeta, li accompagna dalla culla alla tomba.
E’, come titolò il Pittore, l’origine del mondo. Questo, esattamente questo.
E la porta d’ingresso della nostra Grande Madre Natura, dalla quale siamo stati generati e alla quale un giorno, quando a Lei piacerà, ritorneremo.
E’ un’energia primordiale, dicevo, la prima, la più potente di tutte, di cui abbiamo bisogno, non tanto per perpetuare la specie, quanto per perpetuare noi stessi, ognuno di per sé, per ancorarci ad archetipi superiori, e per poter accedere alla dimensione spirituale che compete alla nostra anima.
Questa energia vitale va recuperata. La stiamo perdendo, volenti, o nolenti, costretti o auto costretti da mesi da un lockdown all’altro, restrizione dopo restrizione.
Sarà meglio specificarlo: non voglio dire che dovremmo trasferirci a Sodoma e Gomorra.
Voglio dire che dovremmo riuscire in qualche modo, anche adesso, soprattutto adesso, a fare di più, tutto quello che ci può far star bene. Ricominciando dalle nostre attività più care in cui ognuno di noi può ritrovarsi, esercitarsi, realizzarsi e – perché no? – esaltarsi.
Certo, di Covid si può morire. Sì, la luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci, brucia in ogni atto quotidiano, angoscia anche nella fiducia che ci dà la vita.
Ma è proprio in momenti epocali come questo nella nostra identità di contemporanei che va recuperata e amplificata l’ energia vitale che è insita in ciascuno di noi: perché se, per paura della morte, giorno dopo giorno uno abbandona e rinuncia, giorno dopo giorno lentamente muore.
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Fantastico!