NOVITA’ EDITORIALI / ESCE PER iQdB EDIZIONI “Case sepolte”, LA NUOVA RACCOLTA DI POESIE DI PIETRO ROMANO, “esperimento di prosa poetica e aforismi”
di Chiara Evangelista______
La casa editrice salentina “I Quaderni del Bardo Edizioni” dà alle stampe il nuovo lavoro del giovane e sorprendente poeta siciliano Pietro Romano (nella foto): “Case Sepolte” (118 pagg. 13,50).
Il libro si rivela un esperimento editoriale che intreccia la prosa poetica al versificare per aforismi.
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Dalla postfazione di Gian Ruggero Manzoni: Le “case sepolte” di Pietro Romano sono quelle che abitiamo, ma, soprattutto, quelle che ci abitano. Questa sua raccolta, profonda, struggente e a momenti terribile, è una delle più avvincenti che ultimamente abbia letto. Del resto, per come risulta, non è un insieme per “anime semplici […]. Non a caso quando il tutto risulta un inseguire l’estremo o l’apice dell’assoluto, il gioco risulta oltremodo duro, a momenti criptico, sferzante, anche quando tenta di ridare un senso vitale oppure cerebrale alle asserzioni fatte o, meglio, ricercate, quali ripercussioni di domande fondamentali, di domande che, senza pausa, ti scarnificano dall’interno. Il sedersi sul limite porta a confrontarsi, in ogni istante, con l’abisso (inferiore o superiore che sia).
Nell’incavo della voce disseccata, Pietro Romano ospita nidi di “astratti furori”, volendo citare il primo capitolo di “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini. Si increspa nei gerundi del vivere e del morire, plasmando l’incertezza del presente sostanziale. Un libro ridipinto di nudo, che dorme curvo sulla soglia dell’ombra ma latra ad un avvenire lunare.
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E delle lune negli occhi noi siamo la terra su cui vivere ancora.
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Tu celi lampi e tuoni sottoterra
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Oggi la poesia mi rifiuta. Straripa di morti. Geometria di ombre rovesciata.
Forse scrivere, o non scrivere più. Fugge adesso come
allora il bambino: sono un bruto quando, penna impugnata, sep-
pellisco morti nel duro ventre di un verso.
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Pietro romano scrive su specchi, non su fogli, permette al lettore di sbirciare nell’intimità, afferrando la distorsione esplosa di un presente afono. La sua lingua vortica si staglia tra le vertebre delle fragilità umana, una voce intrisa di sale che brucia sulle ferite aperte.
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Dov’è la mia voce? Fuori? Dentro di me? A chi mormora, intrisa
di sale? Innocua, necessaria come l’aria partorita da un respiro
comune.
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Lo sguardo sguscia dalla maglia bramosa del reale per poi rintanarsi in una vana attribuzione di senso della parola grava di empiricità. Il poeta arbitra le assenze, chiede ausilio all’inchiostro e immola gli stilemi sul tavolo del sacrificio.
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Terra spietata la parola quando capovolge ogni stanza. Iride
sgombra di sguardo: sempre scompagina inginocchiare al mondo
l’inviolato.
Altrove aculeato abita le radici: con furia precipita il sagrato e in-
semina la lingua di figure recise dal verbo. Cresce in bocca il fuoco
nel quale ci maceriamo.
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Dalla postfazione di Franca Alaimo: Buona parte della scrittura di Pietro Romano è un susseguirsi ossessivo di domande alla ricerca di un impossibile incontro con sé stesso, che resta in una sorta di nonluogo e nontempo, tra l’atto del vivere morendo e del morire vivendo, istante dopo istante, annullando, perciò, la durata del gerundio, come dice in una sua riflessione, in preda ad un estraniamento esistenziale, che lo precipita nel vuoto, luogo per eccellenza ed eccedenza della poesia, che l’abita tra una parola e l’altra, nel bianco senza segni della pagina non violata.
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Tutto fermato nel foglio. Palpebre dentro il vento. Sacro conver-
gere dell’iride con l’alone del sole.
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Pietro Romano raduna i vortici delle assenze per cucire il cuore agli orli del silenzio. Veglia la notte e corteggia l’aurora. Aspetta la bonaccia della pagina.______