DA UN LETTO ALL’ALTRO E DA UN LETTA ALL’ALTRO – Gli ultimi due anni di Silvio

| 4 Maggio 2013 | 0 Comments

Editoriale a cura  del nostro Direttore Giuseppe PUPPO

——————————————————————————————-Una mattina di due anni e mezzo fa, trovai nella mia posta una mail di Mediaset.

Pensavo fosse uno dei soliti comunicati – stampa, sui loro programmi, che mi mandano, e invece no. Conteneva, infatti, la spiegazione di come arricchirsi in tempi di crisi finanziaria, diceva proprio così e le istruzioni per l’uso di un’organizzazione che insegna a operare in borsa, specificatamente sul mercato dei cambi, con tanto di agevolazioni tipiche del marketing per i nuovi “operatori”.

Mi sono stropicciato gli occhi. La mia prima reazione è stata di incredulità. Ma questi di Mediaset – pensai – allo stesso modo del loro partito-azienda, hanno allora perso completamente il senso della realtà? Farei un torto alle vostre intelligenze se spiegassi perché, in relazione a un invito del genere. La risposta alla domanda comunque non ce l’ho. E poi, comunque, mi è venuta nostalgia per quegli anni – gli anni di che belli erano i film – in cui Mediaset preparava e anzi conquistava gli Italiani a colpi di fiducia ben prima della discesa in campo, dell’amaro calice e della creazione incredibile del credibile partito-azienda.

Eravamo fiduciosi, convinti che un mondo migliore fosse possibile e talmente trascinati dal “nuovo” che avanzava, da vivere in un mulino bianco, lavorando creativamente tutto il giorno, magari in una delle nuove professioni e dei nuovi mestieri nel frattempo sopraggiunti e poi la sera di corsa a casa, dal biscione che ci aspettava, per deliziarci di nuovi film e di nuovi prodotti. “L’Amerika” era già qui. Oggi, quasi vent’anni dopo, il richiamo da ultima spiaggia del comunicato aziendale trovato nella mia mail, mi è sembrato un chiaro segno dei tempi: il serpente, pardon, il biscione che si morde la coda, ma che non finisce e ricomincia, finisce e basta, allo stesso modo con cui aveva cominciato. Mi sono poi subito intristito: non so dire se perché avevo venti anni di meno ed ero ancora ragazzo anche io e vedevo Lady Oscar, Drive in e Happy days; se perché ci avevo creduto anche io, a tutto quanto; o se, semplicemente, perché è in tutta evidenza non solo la fine di un ciclo, ma il crollo di ogni illusione creativa e liberatoria al riguardo.

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Ci sono due frasi e una foto che caratterizzano e fissano storicamente le ultime fasi dell’ultimo governo Berlusconi, finito con le sue dimissioni nel novembre 2011.

La prima è quella con cui egli commentò la propria rigida manovra fiscale, esprimendo lo stato d’animo di chi, a suo dire, sarebbe stato costretto dagli eventi di crisi planetaria e dalle pressioni ineludibili dei partner europei “a mettere le mani nelle tasche degli Italiani”, contrariamente a quanto sempre annunciato e sottolineato come motivo di vanto.

Un altro dei segni della fine di un ciclo. Nella fattispecie, va a negare una delle caratteristiche di fondo del “movimento” del 1994: proprio come in tanti processi rivoluzionari, si parte in un modo e si finisce praticamente all’opposto. Con la mancata esemplificazione burocratica; con le liberalizzazioni a vantaggio di pochissimi e a danno di tutti i cittadini; con una partitocrazia diventata ancora più soffocante e sfacciata, di quella della così detta “prima repubblica”; con il senso dello Stato disgregato, il bilancio è catastrofico.

La metamorfosi poi in un vero e proprio governo tecnico, che obbedisce da servo agli ordini dei banchieri, è la suprema mortificazione per la Politica.

L’uomo appare decisamente stanco, appannato, provato, incapace di districarsi dal dissidio pubblico/privato in cui è sprofondato, impotente. Non si accorge poi che negli ultimi mesi – dagli accanimenti nei bunga bunga e alle bruttezze varie ad esso collegate, dall’intervento contro Gheddafi, a questa manovra finanziaria – sta praticamente contraddicendo il suo personaggio, il suo mito, il suo operato storico. Sta finendo per consunzione, in cui ogni passaggio è un degrado; con un cupio dissolvi; con una lagna, non almeno con uno schianto; con una vergognosa e pratica ritrattazione e contraddizione di quanto sempre sostenuto, una vera e propria esperienza storica, che si annunciava e pure di esserlo cercò seriamente, straordinariamente pulita e creatrice.

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La seconda, quella pronunciata in morte dell’amico Gheddafi, al quale aveva baciato le mani, per poi partecipare alla guerra ordita contro di lui: “Sic transit gloria mundi

Sento ripetere che Silvio Berlusconi non voleva ( non avrebbe voluto ) pochi mesi or sono la guerra contro la Libia e che la colpa sarebbe del presidente francese Sarkozy e di quello italiano Napolitano, i quali lo avrebbero tirato per i capelli.

Mi risparmio la facile quanto efficace battuta, perché purtroppo non c’è niente da ridere.

Il bilancio, pochi mesi dopo, comunque vadano a finire le cose, è già catastrofico e potrebbe diventare drammatico, e drammatico in senso epocale: l’Italia ha di nuovo negato la propria Costituzione; ha rinnegato la propria vocazione mediterranea, a lungo perseguita in passato con profitto, sostituendola con una atlantica, grigia e dannosa; ha fatto da servo degli Americani e dei Francesi; è andata contro i propri stessi interessi economici, già ben avviati in Libia; ha fatto l’ennesima figuraccia storica, andando a colpire un capo di Stato con il quale aveva appena firmato un trattato di amicizia, ricevendolo in pompa magna; si è trovata invasa dall’emigrazione non più controllata proveniente dalle vicine coste e ne sarà invasa sempre di più. Questo, per un presunto “intervento umanitario”, che ha causato immani carneficine, ha destabilizzato un paese sovrano, con una guerra civile e comunque un’instabilità che andrà avanti chissà per quanto ancora e ha giovato soltanto ai mercanti di armi e alle multinazionali del petrolio.

Ora, dire, adesso, come sento da più parti, a fronte del bilancio impressionante, ma realistico che si è delineato in tutta evidenza e che però era facile prevedere, che Silvio Berlusconi non voleva ( non avrebbe voluto ) la guerra non significa giustificarlo, significa aggravarne colpe e responsabilità.

E’ questa ( questo bilancio impressionante ) un’altra concausa che peserà molto e in negativo sulla valutazione storica dell’uomo e dell’opera.

In Italia il Presidente della Repubblica non ha poteri reali ed effettivi. A volere la guerra erano “i comunisti”, come li chiama lui. Il Presidente francese non aveva nessun modo di obbligarlo a un atto autolesionistico. E allora? C’era una sola ragione per trascinare in guerra l’Italia contro la Libia?

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Di come i partner europei abbiano ripagato tanta abnegazione, più o meno volontaria, testimonia poi la foto celebre della Merkel e di Sarkozy che ridono di lui, dopo che, in conferenza stampa al termine di un loro vertice bilaterale, era stato loro chiesto in che considerazione lo tenessero.

Intendiamoci: una foto che ha fatto male all’Italia, cioè che ha fatto male a tutti noi e solo per ultimo ha fatto male a Silvio; ma che è emblematica di quel cupio dissolvi, di quella lagna, con cui il suo astro si va spegnendo.

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Le ultime vicende sono note.

Le ripercorriamo velocemente solamente per fissarne il significato in sede di bilancio storico.

L’appoggio al governo – Monti dei così detti tecnici; la decisione di andare a votare qualche mese prima della naturale scadenza della legislatura che si era aperta cinque anni prima con la sua netta vittoria; l’impossibile rimonta, il risultato elettorale di oltre sei milioni di voti in meno spacciato per trionfo, soltanto perché quasi a ridosso di quello del Pd, che di voti ne ha persi dal canto suo “solo” tre milioni e mezzo;  la insistita volontà di tornare alla maggioranza che sosteneva il governo Monti proprio con il Pd, con i “comunisti”, dopo aver pervicacemente richiesto e ottenuto la rielezione a presidente della Repubblica del “comunista” Giorgio Napolitano.

Tutto incomprensibile, se analizzato con il metro dell’inizio del ciclo; tutto comprensibile, se con quello della fine, perché della fine, lenta, ma progressiva, si tratta, anche se il sistema, nei tanti perniciosi effetti prodotti, del berlusconismo, sopravvivrà  all’uomo.

Una lotta a qualunque costo, anche a quello supremo di rinnegarsi, di modificarsi diametralmente, di contraddirsi, di offendere gli Italiani riproponendosi come salvatore dai quei mali che o non aveva saputo evitare, o aveva addirittura direttamente provocato, e comunque con la propria incapacità acuito.

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Eppure aveva seriamente pensato per la prima volta di mollare tutto, di andarsene per le sue tante ville sparse nel mondo e magari di costruirne di nuove, di dedicarsi a tempo pieno agli agi del bunga bunga del resto mai cessati, l’eco mediatica dei quali fra l’altro non aveva mai cessato di abbattersi molesta su di lui.

Poi, contro – ordine. Non lascia, anzi, da presidente del Pdl – di cui ancora nulla è dato sapere del presunto rinnovamento, tanto sbandierato e preannunciato, ma finora senza costrutto – pare voglia esaltare le proprie capacità di leader e di comunicatore. Le primarie per scegliere il nuovo candidato a premier tanto strombazzate, non si faranno, stavano scherzando.

Ma come possono criticare in campagna elettorale i provvedimenti del governo Monti che essi per primi hanno promosso e sostenuto?

Di quali capacità di rinnovamento daranno prova?

Come eviteranno di essere sommersi dalle ventate di disillusione, scontento e sconforto che montano di giorno in giorno sempre più minacciosi?

Delle mirabolanti novità, destinate a sconvolgere addirittura il modo stesso di fare politica, invece poi nessuna traccia.

Gli ultimi mesi di Silvio sono stati agitatissimi, turbati da suggestioni movimentiste, ipotesi di aggregazioni elettoralistiche, invidie per Beppe Grillo, prima studiato e poi demonizzato in maniera apocalittico, da nuovo nemico principale; desideri di rivalse da un lato, e impossibili giustificazioni plausibili all’appoggio dato  governo Monti sempre più massiccio e indistinto; appiattimento sulle posizioni dominanti della finanza internazionale; condizionamenti dei tanti più o meno autorevoli esponenti “consiglieri” che vivono di politica e non per la politica, su tutti sempre e comunque Gianni Letta, col suo “giannilettismo” vero e proprio uomo ombra del berlusconismo e primo responsabile di degenerazioni, storture e bruttezze varie di cui nemmeno giorno dopo giorno esso si è reso conto di stare perpetrando.

Mentre monta il vento dell’antipolitica, o meglio, adesso della protesta popolare ragionata, ragionevole e giustissima, soffia in tutt’altre direzioni e, opportunamente alimentata dallo sbocco nel Movimento 5 Stelle, si gonfia minacciando di travolgere tutto e tutti, in una specie di tsunami e però salutare, Silvio Berlusconi decide che il giudizio della Storia, che pure nei mesi scorsi aveva cominciato ad articolarsi nei suoi confronti, può aspettare, decide di ambire a un nuovo giudizio della cronaca.

Recupera un’altra volta il rapporto con la Lega Nord, travolta anch’essa da incapacità e scandali, e con tutta una serie di partiti e partitini che aggrega in coalizione, pur affermando che un eventuale voto ad essi sarebbe stato un voto inutile.

Sfodera in campagna elettorale tutta una serie di colpi di teatro, anzi, di televisione, di  cui è maestro, e arriva al sublime con la lettera agli Italiani sulla restituzione dell’Imu, la tassa sulla casa – un provvedimento introdotto dal governo Monti con il consenso determinante del Pdl – in cui una promessa, soltanto una promessa e per giunta molto campata in aria e del tutto improbabile, viene fatta passare per impegno preciso e concreto, con addirittura le indicazioni operative per la riscossione.

Così, Silvio Berlusconi è di nuovo al governo, nella maggioranza, uguale a quella che si era scannata in campagna elettorale dopo aver sostenuto lo stesso governo, e sostenuta dallo stesso presidente, fortemente voluto ad un nuovo incarico.

Il nuovo premier, Enrico Letta, il nipote del suo “uomo ombra”, Gianni, esattamente come lo zio esponente dell’alta finanza internazionale, per meglio dire servo politico dei banchieri dei veri poteri forti e autore nel 1997 di un libro profetico, “Euro sì. Morire per Maastricht”.

 

L’appoggio di Silvio al nipote del suo uomo – ombra chiude poi una questione fin troppo a lungo dibattuta, in certi ambienti, che, credendolo, continuavano a manifestargli appoggio, se non simpatia: se cioè egli all’alta finanza internazionale sia stato estraneo, o anzi ne sia stato vittima.

La risposta ora è chiara e peserà in maniera determinante nel bilancio storico, in maniera maggiore delle sentenze dei vari procedimenti giudiziari cui è sottoposto che continuano a vederlo imputato, o delle sue amanti che continuano a diventare ministro e sottosegretario di Stato: magari ne era pure estraneo, all’origine, ma progressivamente non ha saputo, né voluto, sottrarsi ai piani di dominazione e progressivamente ne è diventato prima organico, poi alleato e infine complice.

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Category: Costume e società

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