CAMILLI: IL MERCATO DEL LAVORO SI E’ SGRETOLATO

| 3 Maggio 2013 | 0 Comments

Il mercato del lavoro ormai evidenzia uno sgretolamento senza      precedenti.

La disoccupazione media nel nostro Paese viaggia su livelli da record europeo.
Se poi si analizza il tasso di disoccupazione sulla fascia degli under 40 il tasso è spaventosamente vicino al 39% con alta percentuale di disoccupazione femminile e con l’ingresso di una nuova categoria,quella degli scoraggiati.

Che siano ormai lontani gli anni d’oro di percentuali ad una cifra è di tutta evidenza ma, in un vecchio continente attrezzatosi per contrastare il blocco asiatico ed il blocco a stelle e strisce, non era

immaginabile una defaillance così repentina e così profonda da rendere inutile ogni forma di programmazione cautelativa.

Inutile cercare oggi le responsabilità che, comunque, andrebbero spalmate negli ultimi 10/15 anni su tutti coloro che, avendo interessi da tutelare sul libero mercato, non hanno esitato a scegliere soluzioni di garanzia per il mantenimento e/o accrescimento di patrimoni personali, a scapito della classe dei lavoratori.

Se è vero che la classe operaia va in paradiso è certamente altrettanto vero che l’inferno lo vive nell’era contemporanea.

Chi avrebbe dovuto vigilare, studiare, prevedere e, laddove necessario, opporsi alla scelleratezza dei costumi ed all’infido affascinante richiamo della finanza, ha fallito nel compito ed anzi, molto spesso, si è reso complice volontario in cambio di piccole rendite di posizione.

I sindacati si sono trasformati in

accoglienti dimore per “non lavoratori” e

per qualche esponente politico non più

spendibile nel mercato del consenso ma

anche, ed è ancor più grave, in fucina

inesauribile di nuovi “politici di

professione” e le sedi in autentiche “sedi di

partito”.

Si potrà obbiettare che alcuni sindacati si

sono mossi apparentemente in difesa dei

lavoratori ma sarebbe più onesto dire che

alcuni sindacalisti hanno usato il

grimaldello della “necessità sociale” per

scardinare le resistenze di parti politiche

affini resesi disponibili all’accoglienza,

negli scranni dorati della casta, in cambio

di un mantenimento di fatto di privilegi e

scelleratezze.

Oggi la piazza partecipa ai mega concerti

immaginando quelli come forma di protesta

senza censura e non si accorge della

strumentalizzazione in atto consumata

intorno al tavolo dell’inciucio e

dell’opacizzazione della reale volontà di

agire e dello sviluppo.

La nostra industria pesante è ormai

asfittica e si regge sulla devastazione

ambientale legittimata dai provvedimenti

legislativi, i cui effetti si vivono e si

consumano sulla pelle dei cittadini, con il

ricatto costante di una possibile ulteriore

riduzione della capacità lavorativa (I.L.V.A.

di Taranto).

L’incertezza generale sul futuro del nostro

Paese incide poi in termini drammatici

sulla piccola e media impresa che, in

assenza di investimenti pubblici, è costretta

a rivolgersi (a tassi altissimi) al credito

bancario, che con il tacito assenso della

sfera politica, ha contemporaneamente

ridotto di oltre il 50% la propria

disponibilità di denaro da destinare al

sostegno dello sviluppo.

Insomma è ora di dirci chiaramente che,

quando si parla di Europa, s’intende

esclusivamente l’Europa della finanza, delle

banche, dei grandi flussi economici.

Un’Europa totalmente impegnata a

garantire i grandi patrimoni, omissiva nei

confronti della crescita e fortemente

impegnata all’auto conservazione nonché,

spesso, all’auto legittimazione.

Anche nei paesi storicamente schierati con

il comunismo ortodosso si è ormai inserito

il meccanismo proprio del libero mercato,

libero esclusivamente nell’imposizione di

forme di tassazione diretta e/o indiretta

finalizzata all’alimentazione di una casta

finanziaria legittimata e protetta da un

classe politica di garanzia.

Il primo maggio si è trasformato in un

appuntamento celebrativo della negazione

di uno dei diritti fondamentali dell’uomo: il

diritto al lavoro ed è difficilmente

immaginabile che un popolo possa sentirsi

libero di esprimersi se non è libero dal

bisogno quotidiano.

Dover sbarcare il lunario di questi tempi è

un’impresa assai ardua quindi come

possiamo noi immaginare di poter

esprimere il consenso e/o il dissenso se si è

costretti ad elemosinare i propri diritti a

chi dovrebbe rappresentare per dovere e

per mandato quel grido di dolore che

accompagna oggi la colonna sonora della

nostra vita?

Un inciucio tira l’altro e così si pensa di

andare avanti continuando nella politica

dell’auto conservazione ed immaginando di

poter trasformare il popolo sovrano in un

popolo suddito senza tener conto che ogni

corda, tesa all’estremo, prima o poi si

spezzerà.

Ufficio Stampa

Il Responsabile

Category: Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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