IL ‘COME ERAVAMO’ DI GIOVANNI LEUZZI
di Raffaele Polo______
Ci è capitato, proprio per caso, di scorrere questo “Repùtu pe lle chiazze salentine” con sottotitolo in italiano che recita ‘Lamento funebre per le piazze rurali del Salento’, un bel libro edito da Mario Congedo (euro 18,00) con numerosa documentazione fotografica di ‘come eravamo’ non solo a Cutrofiano, in particolare, ma in tutto il Salento.
Con un pretesto narrativo che nasce da una divertente cronachetta paesana, l’autore Giovanni Leuzzi (in piedi, nella foto) narra, con toni e registri diversi, il rapido e certamente negativo diluirsi della civiltà contadina della nostra terra.
Ed è proprio nella simbologia della ‘piazza’ che parte il grido di dolore, ovvero il canto funebre che dà il senso a tutto il poema, composto in vernacolo e con la non facile scelta della rima in ottava che, come spiega l’autore “è il metro classico della grande poesia narrativa, che dà al testo un respiro ampio e regolare e al racconto delle vicende un andamento più ‘di canto’, che mi pare si addica al carattere elegiaco e nello stesso tempo giocoso ed ironico che lo informa, naturalmente almeno nelle intenzioni”.
E così, in ben diciotto canti, si spazia su tutti gli aspetti della vita di un tempo, nelle consuetudini e negli avvenimenti politici di grande e piccolo rilievo, senza trascurare la nostalgica descrizione di ciò che non c’è più, dagli attrezzi agricoli alle cerimonie per fidanzamento e sposalizio, con particolare specifica per la gastronomia e la cultura dei raccolti…
Nostalgia, certo; anche in senso politico Giovanni Leuzzi non esita a compromessi e afferma:
E nn’addhu Mussulini ia tturnare,/ cu ssistema nu picca sta nazzione,/ li ladri cu bbitimu carcerare,/ e ppoi lassati ‘mmòrane an priggione,/ ca, standu fore, su’ cazzi te cacare/ pe ttuta quanta la populazzione./ Pena te morte e ccalera a vvita,/ cu nni sarvamu te sta mmalavita!/ Cu llu fasciu no nn’ia sta telinguenza,/ cu lli paisi a mmanu a Pputestà!;/teniame ddh’ommu te la Pruvvidenza,/ ca ggià ‘n facce sprimia nn’Autorità,/ ca lu rrubbare ggh’era… fantascienza./ E mmai ‘ddhi tiempi la…Sua Santità/ rumpia le palle pe ndurti e mnistie,/ ca suntu nfamità e ppacciaturie.
Ora, abbiate pazienza, ma anche il più moderato dei lettori sussulterebbe davanti a queste due ottave e finirebbe per giudicare tutto il libro come un ammasso di stupidaggini false e ideate da una mente chiusa e di parte. L’impulso, in effetti, è stato proprio quello…Ma poi abbiamo scorso un po’ tutto l’elaborato e ci siamo soffermati davanti alla ottima scelta delle fotografie che, meglio di qualsiasi accento poetico più o meno dialettale, rendono alla perfezione quel fascinoso ‘come eravamo’ che fa affiorare anche il ricordo della miseria, della povertà e della limitatezza in cui hanno vissuto e sofferto i nostri nonni e i loro antenati…
In effetti, la parte più interessante di questo ‘Repùtu’ è proprio la vasta documentazione fatta con fotografie, cartoline e immagini d’epoca, che intessono un discorso scevro da partigianerie evidenti, focalizzando il tema della vita a Cutrofiano, inserita nel contesto nazionale.
Dal punto di vista narrativa, Giovanni Leuzzi sceglie di porre la traduzione in italiano alle sue ottave: una scelta forzata, evidentemente, nell’intento di divulgare a livello nazionale questo testo. Ma errata clamorosamente perchè, dopo il primo tentativo di leggere il testo in dialetto, si opta per la comoda forma in lingua, trascurando completamente il dialetto che, pure, dovrebbe essere l’anima e la spina dorsale di tutta l’opera. Peccato, perchè il professor Leuzzi è bravo nel tessere l’aspro dialetto cutrofianese, soprattutto nelle invettive, dove pare particolarmente a proprio agio.
Intendiamoci, non siamo davanti agli Epigrammi di Marziale… Ma è palpabile il divertissemnent che l’autore profonde nel satireggiare, spesso ferocemente, verso avversari di partito e antagonisti politici…
La lettura, perciò, se ci sforziamo di frequentare un po’ di dialetto e non ci limitiamo alle traduzioni, è foriera di qualche sorriso, Prendiamo un’ottava a caso:
Cu lle fèmmane osci è nnu casinu,/ ca pe ttre cquarti su’…ttutte bbuttane:/cu tte cchiàppane fannu l’occhiulinu,/ tutte muscianduse…. bbone cristiane;/ no appena te cucinane a ppuntinu,/ ca t’annu ggià ttaccatu pieti e mmane,/ te sèttane na beddha cagge an culu,/ e già cu nn’addhu sta ‘ppijane vulu.
Topoi? Luoghi comuni? Visioni ristrette e giudizi affrettati e troppo generalizzati?
Questo testo è ‘tutto’ così, del resto…
Le fotografie, però, sono interessanti e meritevoli di attenzione.
Con buona pace delle rime in ottava…