LA “PRINCESA” DEL BAROCCO COMMUOVE UN TEATRO APOLLO GREMITO, CARLOTTA RINASCE TRA LA SUA GENTE
di Annibale Gagliani______
«L’indifferenza è l’ottavo vizio capitale». Don Andrea Gallo, autore di tale constatazione sociologica, papa mancato, può permettersi di sussurrarlo all’orecchio di Carlotta Paiano, una delle “prinçese” d’Italia, anima dannatamente coerente di un Salento dimenticato. Donna immersa in un corpo sbagliato, affamata di poesia ed emozioni oltre il limite, vittima del meccanismo schiacciante dello spettacolo economico o del guadagno spettacolare.
Proprio come le decine di donne sbagliate salvate da Don Gallo nei carruggi genovesi, così vicini ai vicoli visibilmente invisibili delle tre Porte leccesi.
Proprio come Fernandinha – raccontata con tenerezza da Faber in Princesa – che ha scelto di abbandonarsi a una catarsi necessaria sul candore palpitante di Bahia per poter comincare ad amare in quel di Milano:
E io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita
a immaginarmi tra le gambe una minuscola fica.
Nel dormiveglia della corriera
lascio l’infanzia contadina
corro all’incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna.
Ieri notte, Teatro Apollo, compleanno di Carlotta Paiano, Giuseppe Puppo le dedica un’opera teatrale, “La dea trans”. Prodotta da Valerio Melcore e Vito d’Agostino, diretta da Ivan Raganato – che ha interpretato anche la protagonista – eseguita dalla compagnia teatrale “Scena Muta”, i cui attori, tutti bravissimi, si sono superati l’un l’altro, con la partecipazione di Nando Popu, Max Persano, Stefano Donno, Chiara Evangelista e Telerama. Il copioso pubblico – tutto esaurito in platea e galleria – ha avuto modo di rivivere i tormenti interiori di una delle figure più controverse e affascinanti del microuniverso Lupiae.
Ballerina talentuosa (eseguiva come poche La morte del cigno), frequentatrice fedele del Bar Poker, agitatrice delle discoteche più vergini del Tacco, sostenitrice di una destra militante in piena lotta negli anni di piombo.
Personaggio sui generis e armato di dolce coraggio: emigra a Firenze in cerca di fortuna, anestetizzando un verbo volgare che spesso entra in tilt quando le sfiora i fianchi. In tanti diventano suoi clienti: pubblici ufficiali, politici, professionisti. Tutti insieme le voltano le spalle, sputando sulle metafore arcuate dei suoi sensi: hanno ricevuto orgasmi rivoluzionari per l’epoca e poi si sono schierati nelle file dei perbenisti, condannandola all’oblio.
Ritorna a Lecce, un burrone si spalanca sotto le gambe sinuose: nessun amico, nessun aiuto: viete truffata da alcuni concittadini e derisa puntualmente durante le uscite in piazza. Sono lontanissimi i tempi delle eleganti movenze a incantare passanti per strada, osservatori assorti di balletti da nuovo millennio. Carlotta si sente tradita, svuotata, vuole isolarsi: non accetta nemmeno di guardare in faccia i suoi familiari. Morirà in assoluta povertà a soli cinquantasette anni, donando componimenti pavesiani all’immondo, che l’ha sodomizzata sordamente sui mattoni del Ponte Vecchio.
In platea il fratello della poetessa versa lacrime al miele: abbracciano i respiri di commozione di centinaia di salentini, diventati piccoli piccoli dinanzi a una creatura che non esigeva scandalo, ma cercava semplicemente di realizzare l’esatta forma di se stessa.
In realtà siamo tutti sbagliati e non farebbe male ammetterlo una volta nella traversata esistenziale. Chi nasce sbagliato ha il diritto di sgobbare per sentirsi giusto, ma chi nasce stronzo ha un solo dovere: smettere di essere indifferente.
«Il destino ha più fantasia di noi e se ci sarà luce, sarà bellissimo», scriveva Carlotta nel pieno della sua boreale femminilità. Invitava a lasciarsi sorprendere, a inseguire il bagliore salvifico in fondo al tunnel. The show must go on sembra suggerirci, baciando sulle labbra un suo compagno di rivalsa umana: Freddy Mercury.
Spazi vuoti, per che cosa viviamo?
Luoghi abbandonati, immagino che noi ne sappiano la ragione
sempre avanti, c’è qualcuno che sappia quel che cerchiamo?
Un altro eroe, un altro irragionevole crimine
dietro il sipario, nella pantomima
mantenere la posizione, c’è ancora qualcuno che voglia farlo?
Lo spettacolo deve andare avanti…
Il cuore mi si sta spezzando dentro
il trucco forse si sta sfaldando
ma il mio sorriso permane
qualunque cosa accada, lascio tutto al caso.