CONCERTONE / LE PAGELLE / “Partito con le peggiori intenzioni, è finita che mi sono divertito”. IL CRITICO MUSICALE DI leccecronaca.it DA’ I VOTI AI PROTAGONISTI
di Roberto Molle______
Intorno alle 2.40 di stamattina è calato il sipario sulla ventunesima edizione della Notte della Taranta. Partita tra una buona dose di polemiche e altrettanto scetticismo, si era detto da qualche parte in merito alle scorse edizioni, che “ormai la Taranta s’è fatto un mostro con tante teste”: per un certo percorso iniziale tradito, quello della tradizione dura e pura; per le somme stratosferiche che è arrivata a costare; per quell’ ibridazione a tutti i costi con generi e musicisti spesso abbastanza agli antipodi; e poi, per quel suo rumoroso esser diventata manifestazione da vetrina, carta moschicida per artisti in cerca di sfide sul filo di esotismi vocali che spesso li ha anche castigati (due nomi per tutti: Roberto Vecchioni e Luciano Ligabue, il ricordo delle loro esibizioni crea ancora un certo imbarazzo); e poi, non ultimo, lo strake di spettatori che sbaraglia la stragrande maggioranza di festival europei (cosa non del tutto vera, ce ne sono di manifestazioni di più alta caratura in giro, basta informarsi un po’).
Insomma, che dire, ieri sera dopo anni di riluttanza a guardare il concertone dall’inizio alla fine, mi sono riproposto di sorbirmi le quattro ore non stop, incollato di fronte alla tv e pronto a cogliere ogni minimo passo falso, da sezionare, analizzare e impietosamente sbattere sulle pagine di leccecronaca.it.
È dal Duemila che non vado al concertone, l’essersi trasformato quasi da subito in un carrozzone che fagocita tutto quello che gli si para davanti: musica, uomini e tradizioni (anzitutto), risputando di lì a poco ballerine, nani e comici…Se può rendere l’idea, credo che abbia allontanato negli anni una buona parte di estimatori che, al di là del revival della pizzica e della musica popolare, ci vedevano anche una sorta di riscatto contro-culturale.
Vabbè, nell’attesa che Rai5 mandasse in onda il concerto, mi tornavano a risuonare nella mente le parole di Giovanni Lindo Ferretti (sconcertatore per l’occasione) in un’edizione di un po’ di anni fa: “popolo del Salento non barattate la vostra primigenia per un piatto di lenticchie!”, il che è tutto dire, si potrebbe convenire col senno di poi che, mai esortazione si sarebbe potuta rivelare più ingenua e romantica.
Insomma, partito con le peggiori intenzioni, è finita che mi sono divertito. Quattro ore di musica passate direttamente dall’ascolto al cuore, senza il minimo accenno di noia. Come è potuto accadere?
Ho iniziato a preoccuparmi: risucchiato dal vortice ipnotico dell’evento e caduto nella rete di malie dolciastre della Mirò, oppure, c’è stato dell’altro?
Sì, in effetti c’è stato dell’altro. C’è stato il fatto che la metamorfosi si è completata, il concertone della Notte della Taranta è trasmutato in un festival, si è spogliato da pregiudizi e falsi pretesti di radici ormai appassite, si è scrollato (ma questo, forse gli organizzatori non lo sanno ancora neanche loro) di dosso – forse senza volerlo – il marchio di kermesse di riproposta della musica popolare che permetteva solo entro certi limiti, l’intrusione di cantori altri, a dare man forte e fare cassa di risonanza all’ originalità di un’offerta culturale che si stava inesorabilmente sbiadendo.
Questa notte è successo qualcosa che nelle altre edizioni non era mai successo: la “creatura” concerto si è liberata da lacci e laccioli, da regole e imposizioni, ha mandato al diavolo puristi e critici disorientati, ha raccolto a sé musicisti e cantori di lingue e culture diverse, ha usato la tradizione popolare salentina come viatico, e ha abbracciato tutti con una nenia universale che ha travalicato ogni linguaggio conosciuto e ha colpito, diretta al cuore, anche le migliaia di persone che hanno guardato il concerto in tutta Europa.
Ecco, si abbia il coraggio di svincolarlo, questo “festival della Taranta” (si potrebbe chiamare così d’ora in poi) da recriminazioni sterili che hanno fatto il loro tempo, lo si faccia diventare un luogo simbolo di integrazione invitando sì, artisti da tutto il mondo e li si faccia interagire con i salentini, ma che pizziche e canti alla stisa si possano fondere in un abbraccio corale che dia un segnale forte d’integrazione, di tolleranza e di accoglienza ( e di questi tempi, non solo Dio, sa se c’è bisogno di segni del genere).
A compendio di questo resoconto tutto giocato sul filo emozionale, una sorta di tabella di giudizio al concertone, un tentativo di giocare con voti e pagelle.
ANDREA MIRÒ (voto 10) è stata il maestro concertatore di questa edizione della Notte della Taranta. A lei il merito di aver alleggerito il peso di certi passaggi ritenuti ostici in certe canzoni della tradizione e di aver dato un’impronta pop-rock con interessanti collegamenti a generi non convenzionali come il jazz e certe sonorità anni settanta.
Ottima cantante, buona musicista, ha saputo tenere ogni cosa sotto controllo e ha rivoluzionato praticamente tutto. Nelle sue mani la pizzica è rimasta sullo sfondo e allo stesso tempo è stata presente in ogni situazione in modo non invasivo, si potrebbe dire, lasciando respirare testi e interpretazioni.
LP (voto 9). È stata la vera sorpresa del concertone, di origini italiane (LP sta per Laura Pergolizzi) ma statunitense fino al midollo, ha incantato non tanto per le sue indiscusse doti vocali quanto per la simpatia, e la voglia di mettersi in gioco; sentirla cantare Pizzicarella in un dialetto salentino posticcio e adorabile, tenendo la scena in un modo che ricorda il Prince di Signs of the time (per la verità, molto rimanda nei suoi atteggiamenti al musicista di Minneapolis). Di lei, oltre alla bravura e alla simpatia resterà quel fischiettare sornione sul finire del brano.
CLEMENTINO (voto 6). Un po’ tirato come voto lo ammetto, ma più che altro è un giudizio nel merito. Clementino mi ha entusiasmato poco; simpatico, comunicativo ma non si può ridurre tutta a tarallucci e vino.
APRÉS LA CLASSE (VOTO 8). Negli anni ho fatto di tutto per farmeli diventare anticipatici, ma non è finita così. Originali Cesko e Puccia anche nelle loro declinazioni più recenti (Io, Te e Puccia), continuano a scrivere una pagina importante della storia musicale salentina che li porta ai livelli dei pionieri Sud Sound System. Merita una menzione la splendida Kalos Irtate scritta per l’occasione e manifesto ideale contro discriminazione e razzismo.
ENZO GRAGNIANIELLO E JAMES SENESE (voto 9). Un duo d’eccezione. Il grande James Senese col suo inconfondibile sax e la stupenda voce di Enzo Gragnaniello hanno incantato in Beddha ci stai luntanu e Na ni na.
Versioni da bar da piazza verrebbe da dire, intime scorribande tra amici, per intenderci; con Gragnaniello trasfigurato in uno stralunato Tom Waits e Senese con la testa su altri pianeti (durante l’intervista nel backstage non riusciva a mettere insieme una frase che fosse una. Timido, impacciato… gli si vuole bene).
DHOAD GYPSIE (voto 10). Voto un po’ gonfiato per l’effetto simpatia, in realtà meritatissimo per l’ensamble di poeti, cantanti, acrobati e ballerine del paese indiano dei Maharajà, custodi di una cultura che si tramandano di famiglia in famiglia da trecento anni. Molto bella la loro interazione con gli Aprés Ia Classe in Kalos Irtate.
MINO DE SANTIS (voto 5). Forse l’occasione più grande di presentarsi al pubblico per Mino De Santis (il cantautore di Tuglie molto amato per il mix amaro-ironico presente nelle sue canzoni), bruciata purtroppo inesorabilmente da una prestazione sottotono e da un approccio timido e poco convinto. La sua interpretazione di Cesarina è stata un disastro, per non dire delle altre due canzoni presentate di cui è autore. Probabilmente non si sarà sentito a proprio agio di fronte a quel pubblico oceanico.
YILIAN CANIZARES (voto 9). Violinista e cantante dalla voce calda e profonda, cubana naturalizzata svizzera, ha dato un grande contributo al groove che ha marchiata questa edizione della Taranta. Il suo violino è stato protagonista indiscusso di più situazioni (Ela mu cundà e Lu zinzale).
L’ORCHESTRA POPOLARE DELLA NOTTE DELLA TARANTA (voto 10). Ma sì, perché sono dei grandi professionisti. Si dimentichino le pregresse formazioni, innanzitutto spazzati quasi tutti via i tamburelli (e questo ha fatto storcere il naso agli amanti della tradizione), unico che resiste nell’organico dell’orchestra è il tamburellista Carlo “canaglia” De Pascali, il drumming veniva essenzialmente dettato dalla batteria mettendo quasi in secondo piano i tamburelli. Due nomi importanti hanno fatto da pilastri all’impalcatura sonora dell’orchestra: Frank Nemola alle trombe e Davide Brambilla alla fisarmonica.
I CANTORI DELL’ORCHESTRA: (voto 7). Bravi tutti, da Antonio Amato ad Alessia Tondo, da Enza Pagliara ad Antonio Castrignano fino a tutti gli altri e le altre; bravi ma sempre più prigionieri del concertatore di turno, almeno loro, un po’ di intraprendenza potrebbero permettersela. Invece no, sempre più costretti a essere icone, e stare su quel palco, è come essere lì in veste di garanzia che si, la taranta e viva e non è morta! Quando tutti sanno orami che – come in un segreto di Pulcinella – è deceduta da tempo.
DANIELE DURANTE (voto 9). Direttore artistico del concertone. Voto 9 per la capacità di avere osato. Di aver dato carta bianca alla Mirò di muoversi come meglio credeva, in un’ottica di sicura lungimiranza. Non è chiaro se Daniele abbia la consapevolezza che questa sua direzione artistica rappresenti uno spartiacque, un punto di non ritorno che dovrebbe costringere gli organizzatori a prendere atto dei fatti e lasciare cadere la copertura della pizzica, osando a dare corso a un nuovo progetto di respiro più ampio e internazionale che coinvolga musicisti e artisti di altri popoli per contaminare e contaminarsi, nell’ottica di arricchimento di cultura e di vita per tutti.
MASSIMILIANO VOLPINI (voto 8). Bravo coreografo che ha intuito l’importanza di tenere i passi tipici della pizzica vestendoli continuamente di nuovi algoritmi e disegni danzanti. Bravi anche i ballerini, tutti professionisti ovviamente (e ancora qualcuno storcerà il naso rimpiangendo quei saltelli magari meno leggiadri di danzatori improvvisati sulla danza delle spade mandati sul palco in altri tempi).
RAI5, RAI CULTURA (voto 8). Per le quattro ore di diretta senza interruzioni pubblicitarie (a dire il vero una c’è stata, ma a causa del satellite). Per la regia, che reso fluido il tutto e per le videocamere che fluttuavano tra ballerini e musicisti dando sinuosità e leggerezza allo spettacolo.
p.s.
si era sparsa la voce della presenza nel backstage dei cantanti de “Il Volo”… beh, quelli li terrei volentieri lontani dalla tentazione di salire sul palco della Taranta. Il troppo, poi stroppia.______
LA RICERCA nel nostro articolo precedente (seguiranno altri resoconti e commenti – sulla nostra pagina Facebook ci sono da iri sera foto e video)
“VI CHIEDIAMO UN MINUTO DI SILENZIO” E IL POPOLO DELLA TARANTA SI AMMUTOLISCE D’INCANTO
Una precisazione appendice al mio articolo.
In quello che ho scritto nell’articolo c’è anche una buona dose di provocazione.
Da un po’ di anni, anche io ho lanciato delle critiche all’organizzazione del concertone; proprio perché, di volta in volta c’è stato un allontanamento da quello che si presume essere stato il progetto di partenza.
Per inciso, personalmente non sono mai impazzito per la pizzica e di più, neanche per l’insistere troppo nel forzare la mano della riproposta a qualunque costo di qualcosa che non è più naturale, se non per farne materia che alla fine deve portare un certo ritorno economico.
Per questo nell’articolo, provocatoriamente propongo in luogo di quello della Taranta, un festival aperto alle musiche del mondo, perché, in termini di riproposta, obiettivamente è stato già fatto tutto.
Allora o ci si avvita su se stessi cadendo lentamente verso il declino o si chiude baracca e burattini…Ma è pensabile che chi organizza tutto il circo rinunci a quel giro d’affari e di immagine? Ecco, non è forse meglio liberarsi dai fantasmi?
La Taranta è morta da tempo e invece di ricordarla soltanto, la si vuole tenere in vita quando è già cadavere…Prima o poi comincerà a puzzare.
Ho contezza che in tanti, sabato sera hanno gridato al sacrilegio, ma dopo più di vent’anni di Notte della Taranta è stato grattato anche il fondo del barile, non resta molto.
La mia è un’idea assurda?
Non vedo alternative: chiudere o farne un festival delle culture musicali del mondo dove la pizzica potrà essere una parte della riproposta.
Per i gusti è normale che non tutti apprezzino le cose allo stesso modo…Ma io vengo dal rock e l’altra sera mi sono divertito.
A me che non sono un critico musicale è sembrata davvero tutta una forzatura, un voler stupire per coprire il vuoto. Da ripensare assolutamente questa manifestazione. e anche ia danza….bravissimi e assolutamente Professionali i ballerini ma era più quasi esibizione da danza classica. Non sono assolutamente prevenuta verso questa manifestazione che attendo ogni anno ma è diventata altro (giustamente?) negli ultimi anni. Continuo a pensare che le migliori “Tarante” sono state quelle di Mauro Pagani, Ferretti e Sparagna che in q quanto a musica popolare….. Saluti
Siete molto umani nel dilungarvi con arguto ingegno nei confronti di una manifestazione che ha la sola pretesa di contenere elementi appetibili alla TV. È vero, la NdT è cambiata perché deve essere venduta alla TV e di ciò non ne faccio scandalo, visto che ad oggi non ha la pretesa di essere un evento meramente culturale, bensì un evento capace di attirare turisti e capitali.
Carissimo Roberto, ci unisce una passione smodata smisurata per tutto ciò che produce una composizione si un qualsiasi strumento che produca un suono, o una voce che canta, sempre alla ricerca di quel diverso, inascoltato, unico, strano, a volte disarmonicamente interessante e quant’altro concerne questo settore, ne parliamo spesso e i nostri confronti, sono impegnati e costruttivi. questa volta, mi trovi nel disaccordo più assoluto, per una serie di ragioni che no riguardano certi i tecnicismi o quanto di virtuoso si esibisce su quel palco, ma la contestualizzazione dello stesso.
TARANTA, ormai un marchio imprescindibile dalla terra Salento, e ben venga quanto di buono attraverso questo fenomeno si sia creato, dalle prime timidi apparizioni, quando le vere radici popolari erano le uniche voci da ascoltare, fino ai giorni nostri, con una evoluzione che neanche DARWIN avrebbe potuto immaginare, e quindi, se la sua metamorfosi nel concerto di musica popolare più importante d’europa, ha ormai radicato un’immagine di se diventata icona, oggi, forse abbiamo superato i limiti, scommettendo su un azzardo che nella realtà , non ha pagato, anzi, ne subisce conseguenze da knock-out tecnico, che fortunatamente, ha tutte le possibilità di tornare sul palco più in forma che mai.
Ti dico questo, perché sono un aficionados di questa manifestazione e ogni volta che mi presento sotto il palco, voglio solo che i vorticosi ritmi della taranta, mi inondino completamente di adrenalina pura, motivo per cui adoro questa tradizione, e credo, anzi ne sono convinto, che cento, o centocinquanta, o duecentomila persone, non si presentano nella notte clou di tutto il Salento per ascoltare virtuosismi o arrangiamenti epocali, ma per liberare la propria voglia di libertà, attraverso la sublimazione, che avviene solo nel momento in cui il corpo si appropria dell’energia di un ritmo centenario, che nell’immaginario di una civiltà legata alla terra, trovava la sua forma liberatoria da soprusi e povertà, ritmando la propria rabbia, attraverso lo strumento principe della pizzica, il tamburello, producendo sonorità con cadenze incessanti e continue da portare in trance chi necessitava della cura miracolosa.
Ero sotto il palco, in attesa, in tremenda attesa e nulla, poi il nulla e ancora il nulla, piccoli sussulti che comunque, venivano vanificati da un audio da circolo parrocchiale, con voci a volte afone e altre stridule, un basso che pareva il re incontrastato del palco, manco stesse concertando Marcus Miller, e quelle grottesche sonorità caraibiche, sversando sulla platea, secchi di rumba, chà chà chà e bossanova, esibendo un repertorio che ai più sconosciuto, non sembrava nemmeno della nostra tradizione quanto fossero misteriosi, facendo esibire sul palco, esseri INGRATI, che davanti ad un oceano di gente in attesa da ore, che credo sinceramente nei loro personali concerti non abbiano mai visto, non avevano neanche imparato quattro parole in fila del loro testo, quasi fossero delle star a cui tutto di deve, ma andate a fare a quel paese, mediocri e narcisisti, io non li avrei invitati neanche per un battezzo.
Vedi Roberto, la taranta, è il popolo stesso, che si immedesima in questa tradizione e se ne appropria attraverso il ballo, atteso e sperato per un anno intero, quasi preparandosi ad una celebrazione sciamanica, e non puoi non essere su questa sintonia, perchè è chiaro che se portassi sul palco DAVID GILMUR, avrei uno degli artisti più grandi del mondo, ma se mi arrangia una pizzica a mò di why you were here , mi pare ovvio che le mie parti basse subirebbero danni irreparabili, quindi il mio concetto è questo, null’altro, si può e si deve fare meglio, pur contaminando la tradizione salentina a quella di altre culture, bisogna mantenere quella metrica che prevede che il ritmo delle percussioni, sia il fondamento di ogni azzardo, riportando fra l’altro, la componente principale in un orchestra che ormai ha perso il suo strumento principale, il tamburello, ridotto a pochissime unità ingiustamente e gli ospiti, non devono necessariamente essere mediatici, perchè fiorucci o dreher abbiano il loro ritorno economico sugli investimenti fatti, anche qui una piccola polemica, un panino e una birra DIECI EURO, mi da molto di FURTO, ma avere quelle voci che possono apportare ai nostri canti, energia e innovazione, il signor LIGABUE, non scorderà facilmente la sonora lezione presa da una piccola ma immensa Alessia Tondo…. Ti saluto amico mio, alla prossima discussione e speriamo anche ad un prossimo incontro in qualche bella situazione di cui ci uniscono gli interessi…BUONA VITA…
Fortemente critico il mio punto di vista, ma poi ogni ottica ha la sua rappresentazione: c’è quella propriamente musicale, tradizionale, antropologica, e via all’infinito. Ma siamo identità protesa alla spettacolarizzazione, ognuno si sceglie la sua fetta.
Mi dispiace soprattutto per Gino Castaldo,un critico musicale degno fino a questo momento della massima stima,che si è prestato a un simile pastrocchio senza capo nè coda(ma forse lui,in fin dei conti non è troppo dipiaciuto…).