LECCE VISTA DAGLI SCRITTORI CONTEMPORANEI / 18 – LA CITTA’ GRIGIA E SPAGNOLA DI VITTORIO BODINI
di Raffaele Polo______
Per comprendere al meglio la poetica di Vittorio Bodini (1914 – 1970) bisogna, anzitutto, avere una buona infarinatura di letteratura spagnola. E bisogna aver visto e frequentato la realtà iberica dell’immediato Dopoguerra, cogliendone gli aspetti più intimi e vibranti.
Infine, è necessario calarsi nella Lecce del ‘come eravamo’, soprattutto in quel periodo di transizione che porterà al boom degli anni ‘Sessanta’.
Solo allora, si potrà comprendere appieno il valore della poesia di Bodini, magari percorrendo i ‘suoi’ itinerari, soffermandosi sotto l’Arco di Carlo V e chiedendosi, ancora una volta, cosa voglia simboleggiare il ‘gelato di corvi’ che stringiamo nella mano.
Bodini è certamente un grande poeta della Letteratura italiana del Novecento.
Che elegge Lecce e il Salento a scenario prevalente dei suoi canti, con indifferenza e senza ritrosia, non indugiando in esaltazioni e neppure in facili luoghi comuni. Il Salento di Bodini è proprio quello, intimistico, che abbiamo dentro di noi, nelle antiche usanze e nelle parole, nei monosillabi (…con la parola ‘nu’) e nei luoghi più sperduti (Cocumola), soprattutto nei colori che questo Poeta gestisce con maestria nella sua tavolozza in cui, peraltro, le tinte sgargianti non riescono a coprire monotonia e tristezza (le mura della mia città le avete viste/ sono grigie, grigie).
E poi, dai suoi versi, riaffiorano personaggi indimenticabili (un monaco che vola) e stati d’animo squisitamente locali, in un meraviglioso luccichio che sintetizza e completa il fascino di una terra fatta di ricordi e nostalgie.
Per ironia del destino, Bodini nasce a Bari, vive a Roma. E, dopo tanto tempo, le sue spoglie giungono finalmente a Lecce, dove sono attualmente, proprio vicino alla tomba di Tito Schipa… E, sempre per quella irrazionale ironia che pare essere sempre presente nei fatti salienti della nostra terra, i versi apposti sulla tomba di Vittorio hanno un errore. Il testo originale afferma: “Tu non conosci il Sud, le case di calce/ da cui uscivamo al sole come numeri/ dalla faccia d’un dado.” L’epitaffio scambia il termine ‘uscivamo’ con ‘uscivano’. Mutando un po’ tutto il senso dell’immagine…
Ma, probabilmente, nella ‘Luna dei Borboni’, può capitare anche questo…
Finibusterrae
Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
in un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.
Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
È qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.______
18 – Continua______
LA RICERCA nei nostri precedenti articoli della rassegna (stanno nel nostro archivio, accessibile dalla home page, digitando anche semplicemente nome e cognome che interessa nel riquadro ‘CERCA’ a destra sotto la testata)
1 – ERNESTO ALVINO, 13 aprile
2 – ENRICO BOZZI, 20 aprile
3 – RINA DURANTE, 27 aprile
4 – SALVATORE BRUNO, 4 maggio
5 – CLAUDIA RUGGERI, 11 maggio
6 – ANTONIO VERRI, 18 maggio
7 – SALVATORE TOMA, 25 maggio
8 – RAFFALE PROTOPAPA, 1 giugno
9 – GIOVANNI POLO, 8 giugno
10 – FRANCESCANTONIO D’AMELIO, 15 giugno
11 – GIUSEPPE DE DOMINICIS, 22 giugno
12 – ROCCO CATALDI, 29 giugno
13 – VITTORIO PAGANO, 6 luglio
14 – GIULIO CESARE VIOLA, 13 luglio
15 – VITO DOMENICO PALUMBO, 20 luglio
16 – NICOLA G. DE DONNO, 27 luglio
17 – CESARE MONTE, 3 agosto
Category: Cultura