RIPERCORRENDO L’ ITINERARIO SALENTINO DI DUE SECOLI FA DEL FUNZIONARIO BORBONICO GIUSEPPE CEVA GRIMALDI, DALLE SUE NOTE DI VIAGGIO, SCOPRIAMO CHE DUECENTO ANNI DOPO NON E’ CAMBIATO NIENTE
di Raffaele Polo______
Singolare, interessante scritto quello di Giuseppe Ceva Grimaldi (nella foto, un suo ritratto), che descrive il compiuto ‘Itinerario da Napoli a Lecce’ ed è il resoconto soprattutto del periplo della penisola salentina, effettuato nella primavera del 1818 da questo colto funzionario borbonico che si sforza di registrare un po’ tutto il carattere geofisico e ambientale della terra d’Otranto, senza disdegnare simpatiche digressioni sui costumi e sui caratteri locali.
In fin dei conti, oggi sono proprio questi gli aspetti che solleticano maggiormente l’interesse dei lettori che scoprono, ad esempio, che ‘…Le donne sono qui belle ed amabili: regnano tra esse le forme ovali del volto tanto decantate nelle antiche Greche. Le Leccesi hanno molta vivacità, il tuono di voce assai grato; ed il dialetto del paese acquista in bel labbro soave grazia; amano essere ornate con elegante semplicità. Diceva uno spiritoso viaggiatore, che in Francia non aveva veduto donne oltre i 30 anni; può dirsi con più verità in Lecce che prima dei 30 anni non vi è alcuna, che non sia almeno avvenente. Le Tarantine hanno nobile statura, la carnagione bianchissima, ed amabile languore negli occhi e nel volto. Le Gallipolitane meritano tutt’ora gli elogi di Galateo: aspetto gratissimo, viso vezzoso, ilare, brunetto, picciola ma svelta statura, discorso dolce, capelli neri, occhi nerissimi, nitidi, lampeggianti. A’ tempi di Galateo andavano a marito prima del duodecimo anno, ora circa il sedicesimo….’
Per quello che riguarda gli usi e i costumi, abbiamo conferma che, dopo duecento anni, poco o nulla è cambiato. Scrive infatti il Ceva Grimaldi: “I Leccesi posti nella estrema parte d’Italia, sotto un clima beatissimo poco si allontanano dalla patria; e ne hanno quindi altissima idea, e molto favorevole di se medesimi (…) Ricchi d’immaginazione amano assai la danza, la musica, i giochi, le rappresentazioni sceniche. La vivacità del loro carattere, che gli ha fatti appellare i Francesi d’Italia, traspira nella voce, nei gesti (…) Quasi tutti dormono due o tre ore dopo il pranzo: nella loro lunga ed ardente estate trovano dolce ristoro a depor le vesti, e riparare le loro forze con tranquillo sonno. Qualche ora dopo il mezzodì le strade delle città e de’ villaggi sono deserte: tutte le porte e tutte le imposte son chiuse (…) Temonsi assai i costipamenti chiamati nella lingua del paese costipo: il costipo è una parola magica: gli affari, i piaceri, tutto cede al timore di raffreddarsi…’
Né può mancare un accenno al ballo caratteristico dei nostri antenati: la pizzica. Che viene così descritta dall’attento viaggiatore: ‘Una donna incomincia a carolar sola, dopo pochi istanti ella gitta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a danzar seco. Lo stesso capriccio le fa licenziar questo e chiamarne un altro e poi un altro, finchè stanca va a riposarsi. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto d’invitare altre donne…’
Infine, la descrizione della città di Lecce pare, ad un certo punto, adombrare le problematiche che, dopo due secoli, debbono ancora essere risolte. A fronte di una buona presentazione del complesso cittadino entro le mura, ‘…questo vago prospetto si rattrista non di meno nell’uscire dalla città: i terreni che circondano le mura, e che sembran destinati dalla natura al diporto piacevole dei Leccesi, sono, per lunga negligenza, coverti tutti di rottami di fabbriche, e squallidi in modo che destano l’idea delle desolazioni di Palmira e di Gerusalemme…’
Per il resto, il lungo e meticoloso ‘Itinerario’ è un assieme di aspetti descrittivi che danno un’idea di come fosse il Salento nel 1818. Senza soffermarsi, però, sulle difficoltà che la gente aveva a sopravvivere in una terra mai facile e libera, quanto piuttosto sempre malamente sfruttata.
Allora, come adesso, verrebbe da chiosare…