MUSA TERSICORE APPLAUDE LA DANZA SALENTINA: GRAN JETE’ DI SIMONETTA MAZZOTTA COMPIE 33 ANNI DI TALENTI
di Annibale Gagliani______
Federico García Lorca aveva una concezione illuminante del danzatore, poeta del movimento: «Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma». In un microscopico scorcio di Salento, a San Donaci, tra il cuore di Lecce e il fegato di Brindisi, vi è una scuola di danza che da trentatré primavere solca le acque e fende le fiamme: la Grand Jeté, associazione sportiva dilettantistica fondata nel 1985 da Simonetta Mazzotta.
Affiliata alla fucina di talenti della Russian Ballet Society di Nikolaj Legat – consesso formativo con Baryšnikov nell’anima e Lo schiaccianoci di Čajkovskij sul destino -, forma, attraverso la sapienza artistica delle insegnanti Simonetta Mazzotta e Serena Sanasi, giovani ballerine che diventano veri e propri talenti dell’emisfero danzante, grazie ad esami accreditati dal CDET (Council for Dance Education e Training) e dall’OFQUAL (Office of Qualification and Examinations Regulation).
Samuel Beckett, maestro di un teatro fuori dalla storia, dava un consiglio ammaliante ai figli della globalizzazione: «Prima danza, dopo pensa. Questo è l’ordine naturale delle cose». La Grand Jeté regala la bontà del suo lavoro nel trentatreesimo saggio del proprio romanzo dionisiaco, andato in scena pochi giorni fa, nel quale l’entusiasmo travolgente delle sue tenere ballerine ha conquistato una platea di oltre cinquecento appassionati. Ma dopo ogni performance, la scuola si ferma e pensa. Con intenso coraggio affianca da diversi anni l’AIDAF (Associazione Italiana Danza Attività di Formazione) per l’istituzione di una normativa che regolamenti la professione dell’insegnante di danza classica. Ebbene sì, sulle onde suadenti del Bel Paese chiunque può aprire una struttura per insegnare qualsiasi forma di ballo. Il dato preoccupante è che i Ministeri dello Sport e della Cultura tricolori forse non lo sanno, o addirittura lo ignorano.
Il solito autogol della politica e della burocrazia nostrana, che raramente riconosce la qualità di un soggetto – che dovrebbe essere indice dei suoi titoli e non del familismo amorale o di gang -, e ancor più raramente è in grado di regolamentare in maniera meritocratica il lavoro a tutti i suoi livelli.
Bisogna dare il futuro e la creatività di un bambino nelle mani di un alto professionismo, se si vuole raccogliere il frutto dolce alla fine della semina amara. Il frutto non dev’essere necessariamente conquistare La Scala o l’Olympia e nemmeno emulare spasmodicamente Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, bensì diventare delle persone umane, con una sensibilità sopra la media.
Quel maledetto artista della parola chiamato Charles Baudelaire sosteneva che «la danza può rivelare tutto il mistero tenuto nascosto dalla musica». La Gran Jeté accarezza quel dolce mistero con gli occhi intrepidi delle sue ballerine, destinate a diventare cigni sul palco, e, abbracciate dalle note di Chopin, Debussy o Stravinskij, sognatrici imperterrite nel mondo.
(Foto concesse gentilmente da Massimiliano Melli Fotografia – San Donaci)