LECCECRONACHE / LA ‘SCAPECE’ DELLA NOSTRA INFANZIA

| 12 Maggio 2018 | 0 Comments

di Raffaele Polo______

Rovistando tra i banconi del supermercato, proprio là dove ci sono i barattoli dei sottoli e dei sottaceti, mi è capitato di notare una denominazione abbastanza inconsueta: ‘Zucchine alla scapece’.

 

 

Ora, la ‘scapece’ per noi salentini è quella tipica della zona di Gallipoli, che si ottiene marinando i pesciolini fritti con l’aceto e conservandoli nel la mollica di pane imbevuta di zafferano. Il tutto pressato poi in grossi tini completamente ricoperti dalla mistura gialla e venduti con maestria dai furbi produttori locali che fanno in modo da incartarne una grossa quantità che, arrivati a casa, si rivela essere tutta pane imbevuto di aceto con due, massimo tre pesciolini affogati nella poltiglia…

Ex Apicio, si diceva che fosse costui l’inventore della caratteristica frittura con aceto e zafferano, simbolo delle feste patronali, assieme alla ‘cupeta’. Ma poi si è scoperto che gli Spagnoli dicono ‘escabeche’ per indicare il processo di marinatura in aceto. Ora, che siano gli iberici ad aver coniato il termine prendendolo dalla ‘scapece’ jonica, potrebbe essere. Ma è più verosimile che sia il contrario, anche se questo urta con il nostro spiccato campanilismo salentino…

Scopriamo, però, che le ‘zucchine alla scapece’ sono tutt’altra cosa: caratteristiche della zone napoletane, hanno addirittura una connotazione letteraria perché, nel film di Totò (“Un turco napoletano”) vengono citati i ‘cocuzzielli alla scapece’, parenti delle zucchine e trattati allo stesso modo, ovvero con aceto menta e aglio. Curioso che questo piatto sia elencato tra i ‘non graditi’ del guappo che vuole stilare il contratto di nozze…La futura moglie, cioè, si deve impegnare a non ammannirgli la prelibatezza di cui sopra….

Torniamo alla ‘scapece’ nostrana. Le lunghe, assolate estati salentine della nostra infanzia sono state caratterizzate dall’odore della ‘scapece’ che veniva preparata, in quantità industriali, nelle case vicine alla nostra. E, sin dalle prime luci dell’alba, l’odore della frittura dei ‘cupiddhi’ e poi il loro sposalizio con l’aceto, la faceva da padrone. ‘Scapece’ uguale estate uguale feste: questo è il ricordo, il sentimento che provavamo nei confronti della gialla composta.

Che abbiamo provato a magiare, di recente, con mille distinguo e predisponendoci al meglio. Anzi, abbiamo invitato l’ospite del momento (rigidamente del Nord) a gustarla come un piatto da leccarsi i baffi. Purtroppo, ci siamo sbagliati: probabilmente sarà stato il trascorrere degli anni oppure il ricordo che avevamo non era veritiero. Fatto sta che la ‘scapece’ che abbiamo mangiato, non era per nulla eccezionale. Era solo pesce fritto ammorbidito con aceto e mollica di pane giallastra. Tutto qui.

E il fascino della preparazione artigianale? E l’idea di gustare una prelibatezza che ci viene dal buio dei secoli andati? E la salentinità racchiusa in quella semplice preparazione che i più poveri realizzavano per utilizzare il pesce rimasto?

Niente. La ‘scapece’ di oggi non ci è piaciuta. E anche il nostro ospite (rigorosamente settentrionale) non ha detto nulla.

Dobbiamo, a malincuore, convenire col guappo del film di Totò e mettere questa ricetta tra quelle da evitare….

Peccato, però…

 

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura

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