SAN DONACI RICORDA IL ‘SUO’ DON DONATO PANNA, IL PRETE DEGLI ULTIMI, DEGLI ESCLUSI, DEGLI EMARGINATI
di Annibale Gagliani______
(Rdl. Si tiene questa sera, martedì 8 maggio 2018, “ricorrenza del compleanno”, alle 19.00, a San Donaci, nella sala consiliare, la manifestazione “Guerra e uomini di pace”, un ricordo di Don Donato Panna, con la partecipazione di Padre Saverio Zampa e di Don Fernando Paladini.
Nell’ occasione, ripubblichiamo qui di seguito una sintesi del nostro articolo del 21 ottobre 2016, giorno della sua morte.)______
Tutti amano Mahatma Gandhi, ne apprezzano la resistenza pacifica offerta per la salvezza del popolo indiano, ma chi lo imita davvero al giorno d’oggi?
Tutti pronunciano quella frase infallibile del pastore black che da Atlanta fino a Memphis distese un arcobaleno di educazione e saggezza senza precedenti: Yes we can! Thanks King Martin! Ma chi ne capisce davvero il senso?
Tutti sono pronti ad esibire le foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle giornate della legalità, oppure a provare compassione per la vita di privazioni che Roberto Saviano si appresta ad affrontare o ancora a credere che a Lampedusa ci vuole davvero un fegato d’acciaio per arrivare al tramonto senza tremila lacrime che ti graffiano il viso: ma chi davvero prende alla lettera tali poderose gemme sociali?
Oggi, alle dieci in punto, l’insormontabile campanile della chiesa di San Donaci, proprio quello che veglia su tutte le anime vorticose come fosse un guardiano senza tempo, ha cominciato a suonare, e non era la solita melodia dei vespri spigolosi o delle domeniche mattina al miele, era un pianto irrefrenabile.
Il paesino in questione, che conta ai censimenti all’in circa settemila cuori – coi rispettivi quattordicimila occhi curiosi e le altrettante quattrordicimila orecchie aguzze – ha perso il suo figlio più lucente: Donato Panna. Un prete come pochi, un amico incredibilmente leale, l’orgoglio di tutti.
Vi narro dell’uomo doc, di quelli che ne nascono uno ogni centoventi anni terrestri, capaci di passare con signorile disinvoltura sulla disperazione dell’ellisse e di colorarne le pagine più tetre, affidandosi solo a un sorriso kilometrico e alle impagabili buone azioni.
C’è chi dice fosse un ultrasettantenne, errore grave. Solo chi avuto la fortuna di stargli accanto in questi ultimi anni può capire come la sua anima non abbia mai perso l’energia dei vent’anni, restando proiettata verso quella trasmissione infinita di carica cosmica che offriva toujours ai suoi giovani.
Nel pieno delle forze e della stima spirituale da parte di tutta la comunità, decise di lasciare il posto caldo della parrocchia d’origine, diventando un missionario che ripudiava la frontiera. In questa chiesa dove le nuove indulgenze feriscono ancora di più di quelle combattute da Lutero, e in generale ai piedi di questo mondo devoto totalmente al totem profitto, la sua decisione rappresentò una goccia di latte su un mare di olio di ricino.
L’Africa divenne la sua seconda casa, il Kenya – una delle lande più martoriate dalla guerra civile – la sua ragion d’essere.
Si trovò ad affrontare un fuoco inestinguibile (più arduo di quello di Prometeo), toccò con mano tremante la fame ontologica dei Masai. Johann Wolfgang Goethe sosteneva che per vivere felici bisognava viaggiare con due borse, una per dare, l’altra per ricevere, Don Donato seguì il millenario diktat. Riportò in Italia tutte quelle tracce tangibili che potevano far bruciare la coscienza ai propri conterranei: durante il catechismo, in chiesa, in piazza per un qualsivoglia evento, le brutture del mondo dovevano andare in primetime!
Solo così qualche anima pia ebbe l’accortezza di commuoversi, altri se ne sbatterono puntualmente – criticando la scelta del parroco di portare opere di carità troppo lontano dal Salento – mentre valorosi gruppi di ragazzi decisero di seguirlo lasciando a casa la paura: l’aiuto al terzo mondo, la fratellanza reale e la voglia di tornare dalla sfida soltanto dopo aver alleviato i mali delle ferite più insensate erano trascinanti.
Perchè in questo ventunesimo secolo (che viaggia alla velocità della luce e non guarda in faccia nessuno) una religione deve essere in grado di dare una mano “umana” alle altre, evitando stupide discriminazioni e guerre di estrazione medievale. Perchè la chiesa (o la sinagoga, la moschea e la sala) devono essere in grado di accogliere tra le sue mura un credente omosessuale che voglia intraprendere il cammino di fede ritenuto più opportuno. Perchè la religione non è un’azienda e di certo non può creare profitto.
E soprattutto perchè esistano ancora uomini veri come Don Donato, che era in grado di accontentarsi tutti i giorni di mangiare cicorie, donando tutto quello che aveva al reale sfortunato di turno.
Lui non si è mai permesso di non tendere la mano a un ateo, a un gay, o a chi ha commesso errori madornali nel percorso terreno. Ha intrapreso una rivoluzione pacifica che centinaia di giovani cristallini sposano senza ripensamenti.