IL GIOVANE ANNIBALE GAGLIANI VA ALLA SCOPERTA DEI SUOI NUMINA/NOMINA, COSI’ CI RIPORTA PERSONAGGI ATTUALISSIMI. E A leccecronaca.it CONFESSA CHE VORREBBE FARLI RISCOPRIRE DAI VENTENNI DI OGGI
di Emanuela Boccassini______
È stato appena pubblicato, da iQdB edizioni di Stefano Donno, un lavoro molto interessante, «Impegno e disincanto in Pasolini, Faber, Gaber e Gaetano» del giovane Annibale Gagliani, un percorso a ritroso per riscoprire un nuovo umanesimo. E “per rivoluzionare sè stessi”.
Il suo saggio è uno studio arguto e approfondito di tre grandi artisti che hanno segnato la storia della musico-poesia dell’Italia di cinquanta-vent’anni fa. Partendo dall’opera straordinaria ed eterogenea di Pier Paolo Pasolini che, con la sua “poetica del disincanto”, ha tracciato un nuovo cammino artistico, Gagliani ci racconta le vicende di tre “corone” della canzone italiana: Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber e Rino Gaetano.
Cosa lega queste personalità? Innanzi tutto sono tutte voci fuori dal coro, che esprimono le proprie opinioni e mettono in risalto le brutture del loro tempo, per questo sono accusati – Gaetano in modo particolare – di «disfattismo, qualunquismo e pessimismo».
Sono tutte anime tormentate, che si sentono lontane dalle maschere indossate dai contemporanei e, se da un lato hanno voglia di evadere e di allontanarsi dal loro mondo, dall’altro sentono, pressante e urgente, la spinta a lottare attraverso le proprie opere, per contrastare, mettere a nudo i miti e le illusioni che traviano e soggiogano i coetanei.
Tutti e tre (in verità anche Pasolini) sono percorsi da sofferenza.
Una sofferenza che deriva dal non volersi adeguare alla massa, agli usi e costumi che divorano e consumano, alienandolo, l’inerme popolo italiano, che accetta silenzioso e rassegnato il proprio destino, infausto per la maggioranza di esso. Possono tutti e tre essere considerati artisti “attuali”: attraverso la loro attività aprono una finestra sull’Italia del tempo. Sulle disgrazie, sulle mode, sulle carneficine, sugli sprechi, su particolari episodi rendendosi, con i loro particolarissimi e spesso opposti stili, vivi e presenti. L’Italia di allora è simile a quella di adesso, forse sono cambiati gli “attori”, ma «il terrorismo, la rassegnazione, la piattezza e il grigiore» permangono e sono ancor più acuti.
Il loro animo battagliero, il desiderio di non appartenere alla generazione dei passivi, dei modaioli, dei “bamboccioni” porta Pasolini, De Andrè, Gaber e Gaetano a esprimere il proprio dissenso nei confronti di una società corrotta e consumistica. Con parole dure, immagini forti, con ironia raccontano dei derelitti, degli appartenenti agli strati sociali più bassi, dei vinti dalla vita che arrancano e ogni giorno cercano di migliorarsi, invano. Dei vinti che pretendono e si adoperano, usando anche mezzi non legali, per rendere l’esistenza dignitosa, ma, alla fine, restano relegati nell’angolino da cui provengono senza possibilità alcuna di riscatto.
Così il contrasto tra la piccola élite che detiene il potere e la massa del popolo si palesa in metafore stridenti e musiche innovative che ben mostrano gli scheletri nell’armadio di un’«Italietta» fatta di apparenza e mediocrità, di finto perbenismo; di un’Italia vigliacca e peccatrice, che nasconde la testa sotto la sabbia, anche per non fare l’esame di coscienza e per non essere costretta a prendere in mano le “armi” e lottare.
Nel suo saggio Gagliani mette cuore e anima, riflette sull’epoca contemporanea notando somiglianze con un passato, non poi così lontano, e vede quanto falsa e ipocrita sia la società moderna. Quando decide di scrivere questo saggio ha in mente un solo e unico scopo: attraverso l’analisi di queste figure emblematiche e in controtendenza (PPP, FDA, GG e RG), vuole indicare un precorso che mostri uno slancio collettivo, convinto che «l’umanità» possa «rinascere e non in maniera apparente, bensì con la U maiuscola; coltivando valori laici ed empatici si combatte il male del potere dominante». Seguendo l’insegnamento di Gaber, «dire le cose che gli altri non dicono», Annibale vuole scuotere gli animi addormentati del nostro Belpaese, rammentando loro che «un paese che ha una giustizia come la nostra non sarà mai un paese civile» (Gaber, “Mi fa male il mondo”, 1991-92).
Su tutto questo, abbiamo voluto sentire direttamente l’ autore.
D.) Perché hai scelto di parlare di cantautori lontano dal tuo tempo?
R.) Perché, paradossalmente, questi artisti della parola e del suono sono i più attuali che la nostra cultura contemporanea abbia sfornato. E sono attuali oggi, non ieri, questo deve farci pensare. Sono profetici, sensibili ed estremamente innovativi. Tutto l’opposto del 99% degli pseudo-artisti che navigano in mainstream oggi. I tatuaggi, il look alla moda e l’aria dannata li fa sembrare all’avanguardia, invece sono obsoleti dentro. I veri narratori della nostra epoca e del prossimo ventennio sono i cantautori da me citati.
D.) In poche parole, quali sono gli elementi che accomunano PPP, FDA, GG e RG, e quali sono gli antipodi tra essi?
R.) Come disse Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione Giorgio Gaber, essi hanno «un’intatta percezione del dolore». Sono tutti e quattro intellettuali degli ultimi, narratori delle ingiustizie terrene verso i più deboli e osservatori delle grandi contraddizioni dell’uomo contemporaneo. Hanno inoltre in comune la letteratura di formazione e la stessa evoluzione artistica.
Bisogna dire che Pasolini ha profondamente ispirato, soprattutto con i suoi Scritti Corsari, Faber, Gaber e Rino Gaetano. De André e Gaber poi erano gli artisti di punta del Sessantotto e si sono ritrovati ad avere un’amicizia e una similitudine in comune: Luigi Tenco, che ha collaborato con tutti e due e che dopo la sua morte ha cambiato la vita a entrambi; e il rapporto con Mina, che ha indirizzato inconsapevolmente la carriera di entrambi. Riguardo a Rino Gaetano, è cresciuto leggendo Pasolini, ascoltando De André e guardando Gaber a teatro. Cosa hanno agli antipodi tutti e quattro? Semplicemente le loro figure professionali: Pasolini è un professore delle arti, De André un poeta tradizionale aperto al futuro, Gaber un filosofo, Rino Gaetano un poeta fantascientifico che stazionava già nel futuro. Uniti, però, diventano invincibili.
D.) Perché questi artisti sono stati criticati e non capiti dai loro contemporanei?
R.) Perché hanno scelto la strada più ardua, non violentando loro stessi ed esprimendo un’arte di fortissimo impegno e disincanto sociale. Venivano criticati dagli “intellettuali” del potere, dalla gente frivola che non capiva i loro testi per evidenti deficit di sensibilità. Loro si sono opposti all’ignoranza e al misticismo generato dai “padroni” e hanno lottato strenuamente contro un consumismo che incatena l’individuo dei giorni nostri.
D.) Credi che qualche cantante oggi sia in grado di proseguire o essere considerato erede artistico di una di queste corone?
R.) Un artista c’è, ed è stato in grado di unire il sound made in USA degli anni Novanta, ovvero il rap, a tematiche di squassante impatto sociale. Si chiama Michele Salvemini, da tutti conosciuto come Caparezza. Certo ritrovo un po’ di Rino Gaetano in Pensa di Fabrizio Moro, tanto Gaber nei testi di un cantautore salentino, Luigi Mariano, e spruzzate di Faber in Brunori Sas e Maldestro.
D.) Di Gaber scrivi «non gridava verità ma proponeva strade». In questo si distingue dagli altri?
R.) Gaber è un filosofo, ma definirlo sociologo nemmeno sarebbe sbagliato. È ovvio che rispetto agli altri abbia cercato di comprendere – assieme a Sandro Luporini – quale viatico la nostra società dovesse imboccare per garantire la salvezza dell’individuo “umano”. Era il suo lavoro studiare appieno la società e l’uomo. Anche gli altri lo fanno magistralmente, ma esprimendo altro, cioè poesia a tutti i livelli. Mentre Gaber è un professionista delle analisi sociali, perciò proponeva delle strade alla stregua di Adorno, Weber, Marx e via dicendo.
D.) Cosa speri di ottenere con questo lavoro, che, so, porterai presto in giro in varie località per tutta una serie di appuntamenti?
R.) Mi piacerebbe che il libro colpisse la mia generazione. Se il lavoro verrà letto da tanti giovani, magari si accenderà la curiosità di ascoltare con spirito nuovo le tre corone, omaggiando di conseguenza l’opera totale di Pasolini. Allora sì, questo saggio avrà un senso. Allora sì, ne sarà valsa la pena.______
LA RICERCA nel nostro articolo del 24 aprile scorso