I NUOVI FARAONI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Da Lecce, un lettore ci scrive (lettera firmata; nella foto di archivio, un’ immagine di repertorio)______
Domenica delle Palme. Di primo mattino arranco in auto, ancora un po’ assonnato, in direzione parrocchia. Sarà il freddo inaspettato di questi giorni o il cambio dell’ora legale, tant’è che la piazza principale del mio paese, solitamente brulicante di auto, è un piacevole deserto di rumori. Incrocio una giovane donna, anche lei visibilmente in transito dalle braccia di Morfeo a quelle, meno piacevoli, delle urgenze quotidiane. Affretta il passo, sforzandosi di tenere agganciata alla spalla destra la borsa finta pelle.
La riconosco; lavora come commessa in uno dei supermercati del paese e anche stamani, che è Domenica, delle Palme, ha lasciato casa, marito e forse figli per andare a “servire” i “nuovi faraoni d’egitto”. Cos’altro volete che siano i titolari di supermercati, negozi, grandi centri commerciali se non moderni artefici di schiavitù; tanto dimentichi delle proprie radici cristiane (molti di essi sono battezzati, comunicati e cresimati; si sono sposati in chiesa e hanno chiesto il battesimo per i figli, foto sull’altare compresa) da praticare con sistematica, pervicace ricorrenza, l’obiezione di “coscienza” al terzo precetto dell’amore: ricordati di santificare le feste?
Asserviti alle logiche del guadagno ad ogni costo (o, peggio ancora, del “così fan tutti”), si «sono fatti un idolo di metallo fuso» (Dt 9, 11-17) al quale offrire i moderni “sacrifici”: uomini e donne, giovani e vecchi, costretti, pur di conservare il posto di lavoro, a lavorare anche nel “giorno del Signore”, assai spesso l’unico giorno libero in un’intera settimana di fatica; l’unico giorno da dedicare agli amori familiari, alle relazioni belle, alle passioni più diverse.
Come novelli faraoni, essi rimangono sordi alla richiesta di coloro che, convinti che l’uomo non sia solo materia, legittimamente domandano «Ci sia permesso di andare nel deserto, a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio» (Esodo 3, 18). Confessiamolo con umiltà: quanti di noi si sono resi “collaborazionisti”, non sempre inconsapevoli, di questa dura “schiavitù”? Dimentichi, a nostra volta, del precetto più grande dopo quello dell’amore per Dio, non abbiamo amato questi nostri “prossimi” come amiamo noi stessi.
Pur avendo inizialmente avversato le aperture domenicali, abbiamo finito col farcene l’abitudine, ove non a servircene noi stessi, anche solo per riempire il vuoto di senso dei pomeriggi d’inverno o quello della pasta nelle nostre dispense. Muovendo le palme in alto per salutare il Signore che viene, non ci siamo ricordati di questi fratelli “forzatamente assenti” alla festa. Uscendo dalla chiesa, con ancora nelle orecchie il Vangelo della passione del Signore Gesù, non siamo andati a trovarli, lì dove si consuma la loro offerta incruenta, per donare ad essi, in puro spirito di comunione, la palma della pace.
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