DEVASTATO DALL’ OCCIDENTALIZZAZIONE, COLONIZZATO DALL’ ECONOMIA, IL NOSTRO IMMAGINARIO HA BISOGNO DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE: RITROVARE IL ‘SOCIETALE’
di Serge Latouche * ( g.p. – In vista dell’ incontro di mercoledì 7 a Martano, di cui abbiamo riferito nell’ articolo precedente, crediamo opportuno studiare un po’ il pensiero di uno dei più importanti intellettuali contemporanei. Per questo proponiamo due brevi passaggi del pensiero dell’ autore, tratti dai saggi: “Una rivoluzione culturale per salvare l’ umanità”, e da “L’ occidentalizzazione del mondo”).______
Tutti parlano di crisi, è un po’ paradossale perché di crisi ne ho sentito sempre parlare dal Sessantotto quando c’era una crisi culturale, poi nel 1972 si parla, con il primo rapporto di Roma, di una crisi ecologica, poi con la controrivoluzione neoliberista di Margaret Thatcher e Reagan c’è la crisi sociale e ora la crisi finanziaria e la crisi economica dopo il crollo di Lehmann Brothers.
Finalmente tutte queste crisi si mescolano e siamo di fronte a una crisi di civiltà, una crisi antropologica.
A questo punto il sistema non è più riformabile, dobbiamo uscire da questo paradigma e qual è questo paradigma? È il paradigma di una società di crescita.
La nostra società è stata poco a poco fagocitata dall’economia fondata sulla crescita, non la crescita per soddisfare i bisogni che sarebbe una cosa bella, ma la crescita per la crescita e questo naturalmente porta alla distruzione del pianeta perché una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito.
Si deve una vera riflessione quando si parla di crisi antropologica, si deve prendere questo sul serio perché abbiamo bisogno di una decolonizzazione dell’immaginario. Il nostro immaginario è stato colonizzato dall’economia, tutto è diventato economico.
Questa è una cosa specifica all’occidente e abbastanza recente anche nella nostra storia. Siamo nel XVII secolo quando c’è questa grande svolta etica segnata dalla teoria di Bernard Mandeville. Prima si diceva che l’altruismo era una bella cosa e poi si dice: “no, dobbiamo essere egoisti, cercare di fare il più profitto possibile, l’avidità è una bella cosa”.
Sì, per distruggere più velocemente il nostro “oikos”, la nostra casa e a questo effettivamente siamo arrivati. Lo vediamo con il cambiamento climatico, con la perdita di biodiversità, con l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei suoli. Siamo arrivati a un punto che non si può più continuare su questa strada. O cambiamo strada o sarà la fine dell’umanità.[______
Allora il progetto di uscire dalla società di crescita, uscire dalla società dei consumi, uscire dall’economia, il ritrovare il sociale o meglio ancora il societale. Questa rivoluzione è prima di tutto una rivoluzione culturale, ma che non si può decidere dall’oggi al domani, è un lungo processo storico.
Quando ho iniziato a fare delle conferenze sulla decrescita ho pensato che si doveva cambiare strada prima del collasso, ma ora sono sempre più pessimista, penso che non eviteremo il collasso, dobbiamo prepararci al dopo collasso e speriamo che il collasso non sia un collasso totale e che ci sia la possibilità per l’umanità di avere un futuro, di inventare un nuovo futuro.
La riduzione dell’Occidente alla pura ideologia dell’universalismo umanitario è troppo mistificatrice senza peraltro evitare le insidie del solipsismo culturale che porta direttamente all’etnocidio. È difficile dissociare il versante emancipatore, quello dei Diritti dell’uomo, dal versante spoliatore, quello della lotta per il profitto.
L’introduzione dei valori occidentali, quelli della scienza, della tecnica, dell’economia, dello sviluppo, del dominio della natura sono basi di deculturazione. Si tratta di una vera e propria conversione.
Il veicolo di essa non può essere la violenza aperta o il saccheggio sia pure mascherato in scambio mercantile ineguale: è il dono.
Là dove la “macchina” non ha veramente trovato la propria sede, nella zona in cui l’occidentalizzazione è stata più superficiale, dove le resistenze sono state più vive, dove i limiti sono stati più evidenti, anche là si profilano più chiaramente se non i contorni di un nuovo ordine e di un mondo nuovo, almeno le forme di una parziale ricomposizione sociale.
L’urbanizzazione stessa che normalmente dovrebbe portare alla disumanizzazione totale in un inferno insalubre di latta e cartone, è il luogo di maturazione di vere e proprie “controculture”.______
LA RICERCA nel nostro articolo precedente
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