MAFIA E MASSONERIA – 3 /…E COSI’ ALLA FINE LA BINDI MANDO’ LA GUARDIA DI FINANZA A SEQUESTRARE GLI ELENCHI DEGLI ISCRITTI ALLE LOGGE SICILIANE E CALABRESI
(g.p.)______
Va ricordato a questo punto del nostro esame degli atti dell’ attività della Commissione Parlamentare, che la Costituzione italiana stabilisce il diritto all’associazionismo libero, mentre vieta le società segrete.
Recita infatti l’ articolo 18: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare».
I problemi sono nati perché qui non viene però data una definizione di società segreta, il che ha determinato non pochi problemi di carattere giuridico.
La massoneria è stata considerata per molto tempo una società segreta; tuttavia le sedi delle istituzioni massoniche devono essere denunciate in questura e gli elenchi degli iscritti devono essere depositati presso le prefetture; per alcuni, sulla base di tali prescrizioni, che inoltre non si sa se e quanto siano rispettate, le informazioni sarebbero considerati “pubbliche”, per quanto la loro accessibilità sia limitata, principalmente a causa delle leggi sulla “privacy” e sostanzialmente tenute comunque riservate.
In ogni caso, al di là della Carata Costituzionale, nel 1982, sopravvenne una novità sostanziale.
A seguito delle vicende legate allo scandalo del rinvenimento delle liste della loggia P2, venne varata la legge 17 che fornisce all’articolo 18 una definizione abbastanza precisa:
«Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall’art. 18 della Costituzione, quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale».
Chiarissimo. Sulla carta che canta, è tutto chiarissimo.
Ma torniamo al nostro esame degli atti della Commissione Parlamentare che ha indagato sul rapporto fra mafia e massoneria.
Nella relazione finale sull’ attività svolta in questa sua indagine, la Commissione a questo punto, ribadisce che tutto lascia “supporre sia l’esistenza e la reiterazione nel tempo di infiltrazioni da parte di cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria, sia che, parallelamente alla metamorfosi delle mafie, sempre meno violente e più collusive, la composizione degli interessi illeciti potesse avvenire, talvolta, proprio tramite logge massoniche a cui aderiscono, tra l’altro, esponenti della classe dirigente e dell’imprenditoria del Paese”
Allo stesso tempo sottolinea “l’assenza di collaborazione delle obbedienze”, vale a dire delle quattro grandi logge massoniche prese in esame, perché le numericamente più rilevanti.
Vediamo che succede, a questo proposito.
I parlamentari decidono di sentirne i Grandi Maestri, non in semplici audizioni, bensì, in forza dei poteri conferiti ad essa dalla legge, quali testimoni come se fossero davanti ad un giudice di un procedimento penale
Una vera e propria indagine nell’ indagine, con i poteri propri della magistratura, per “acquisire elementi conoscitivi sul comportamento e sulle prassi delle obbedienze al fine di verificare se, ad una parte significativa della massoneria ufficiale o considerata ‘regolare’ risultasse, più da vicino, l’eventuale interesse della mafia nei suoi confronti, e, in caso positivo, quali fossero i rimedi da loro adottati e quelli adottabili in sede legislativa e,
comunque, quale fosse il suo eventuale vulnus strutturale che potesse consentire o facilitare l’infiltrazione mafiosa”.
Risultato?
“Al pari di quanto accaduto con la prima audizione di Bisi, ciò che emergeva da tali audizioni, era, in sostanza e con varie sfumature, una posizione negazionista delle obbedienze nei confronti del fenomeno a cui veniva, al contrario, opposta l’esistenza di regole e prassi massoniche tali da sventare ogni pericolo”.
Infine, “si ricavava l’unanime rifiuto, più o meno netto, ma sempre apparso pretestuoso, di consegnare alla Commissione gli elenchi degli iscritti alle rispettive obbedienze, invocando, a sostegno della propria posizione, le più disparate ragioni e, comunque, da parte di tutti, la legge sulla privacy che, a loro dire, li avrebbe obbligati a mantenere riservati i nominativi degli accoliti, pena la violazione di norme dello Stato”.
La Commissione, all’ unanimità, non ci sta: ritiene “indispensabile acquisire quegli elenchi per procedere all’analisi sia circa l’incidenza tra gli iscritti di soggetti con precedenti penali, sia circa la particolare ricorrenza di determinate categorie professionali tra gli iscritti che potesse rivelarsi sintomatica di strumentalizzazioni mafiose; sia, di conseguenza, con riguardo all’ adeguatezza della legislazione vigente ad evitare la creazione di zone grigie, facilitate dalla riservatezza e dai vincoli di obbedienza che caratterizzano talune associazioni massoniche, in cui sia agevole la penetrazione delle mafie e, soprattutto, l’interferenza di queste ultime, attraverso i fratelli, nello svolgimento di pubbliche funzioni o nel controllo delle attività economiche.
Pertanto, oltre alle sollecitazioni di consegna rivolte in forma collaborativa ai quattro gran
maestri nel corso delle rispettive audizioni, rivelatesi ben presto vane, si procedeva anche a reiterare
la richiesta per iscritto attraverso formali missive”.
Ne ricava un nuovo rifiuto “opposto con motivazioni manifestamente infondate”.
E allora la Commissione parlamentare antimafia, dunque, in data 1° marzo 2017 deliberava, all’unanimità, di acquisire gli atti di interesse presso le sedi centrali delle quattro obbedienze, attraverso gli strumenti della perquisizione e del sequestro disciplinati del codice di procedura penale, limitatamente agli elenchi degli iscritti a logge della Sicilia e della Calabria.
Le perquisizioni venivano eseguite nella medesima data del 1° marzo 2017 e consentivano di ottenere un cospicuo materiale documentale e informatico, che, insieme al già importante compendio probatorio, permetteva, pur in assenza della collaborazione dei gran maestri, di osservare dall’interno dei sistemi massonici taluni meccanismi di facilitazione dell’ingresso delle mafie.
Ora ha gli elenchi, ma non può divulgarli, o, meglio, “non ravvisa la sussistenza di un interesse pubblico alla rivelazione dell’identità dei singoli iscritti alla massoneria in quanto tali, dei quali, pertanto, va rispettata la privacy mantenendo, anche sotto tale profilo, il regime di segretezza già imposto alle liste degli appartenenti nel corso dell’inchiesta”
Quelli che ha avuto, perché “il compendio informatico e cartaceo sequestrato è caratterizzato da altri limiti probatori dei quali non si può non tenere conto nella valutazione delle risultanze…Le perquisizioni sono state eseguite esclusivamente presso le sedi ufficiali delle quattro obbedienze ed in epoca successiva alle diverse e pubbliche sollecitazioni ai gran maestri di consegnare gli elenchi.
Non può pertanto escludersi a priori né che altra documentazione potesse essere conservata altrove né che parte di quella custodita nelle sedi ufficiali sia stata spostata prima dell’esecuzione dei suddetti decreti.
Va ancora segnalato che il materiale informatico in sequestro consiste, nella sostanza, in milioni di file la cui completa analisi richiederebbe l’impiego di un rilevante arco di tempo…Pertanto i risultati, se possono ritenersi singolarmente verificati e approfonditi, devono però considerarsi parziali nel senso che non rispecchiano l’intero compendio in sequestro”.
Insomma, che fatica! Ma qualche buco nel muro di gomma elevato dalle Logge a protezione di sè stesse è stato fato, e qualche cosa, quanto a relazioni pericolose, è stato possibile sapere.______
(3 – continua)
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