DOPO AVER ATTRAVERSATO UNA PIAZZA SANT’ ORONZO TRASFORMATA IN SAGRA DI PAESE, NELLA CITTA’ OCCUPATA, GRATIS, DALLA CGIL, AL CARLO V IL ‘DIBATTITO’ CON VIRGINIA RAGGI E ANTONIO DE CARO VISTI DA VICINO
di Giuseppe Puppo______
“…Ce ne andiamo via subito. Andiamo da un’ altra parte…“. Beh, tanto anche da altre parti del centro storico sarà lo stesso, però almeno presumibilmente con effetto parziale. Qui, è totalizzante.
La guida cerca di rassicurare la comitiva di turisti, molti dei quali non capiscono, ecco, non capiscono che cosa ci facciano le bandiere arcobaleno della pace, in quella che sembra una piazza di Pyongyang, e rimangono perplessi, stralunati, oltre che sudati, per questo caldo assurdo, afoso, appiccicaticcio, che alle cinque della sera ancora si accanisce.
Arrivo al Carlo V dopo aver attraversato tutta la piazza Sant’ Oronzo, trasformata in una succursale allargata open dell’ ufficio centrale nazionale di propaganda. Occupata per intero, per quanto sulla delibera di concessione dicesse: ‘parte’, pur senza specificare quale: e così, per non sbagliare, se la son presa tutta quanta.
Baracche, pagode, pagodine, gazebo, cubi, palchi e palchetti. L’ identità di Lecce usurpata per tre giorni, il salotto buono trasformato in mercatino casalingo e succursale aziendale della ‘ditta’, e poi il trionfo della sagra di paese.
Ma neanche alle feste dell’ Unità che furono, neanche nelle città dell’ Emilia – Romagna, dove le sistemavano – giustamente – negli spazi adeguati di periferia!
Qui a Lecce, no. E proprio adesso che le Feste dell’ Unità non le fanno più, e non esiste nemmeno più lo storico giornale, abbiamo il privilegio di ospitare in tutto quanto il centro storico terremotato il festival nazionale della Cgil, con epicentro piazza Sant’ Oronzo, con la baraccopoli del marketing politico.
Che abbiamo fatto per meritarci tutto questo?
Chiaro: abbiamo votato Carlo Salvemini, il quale, come scritto e documentato nei giorni scorsi, si è rapidamente dimenticato di quando, dai banchi dell’ opposizione, quando non dormiva, tuonava contro le sagre di paese in piazza Sant’ Oronzo organizzate dai suoi predecessori. Lui, subito, è riuscito a fare anche peggio. In grande stile, che diamine, se no che alternanza sarebbe?
Per i ‘compagni’ della Cgil ha autorizzato di tutto, di più. E pure gratis, esentandoli da ogni tipo di tributo e carico fiscale. Un obolo da chissà quante migliaia di euro, elargito a chi certo povero non è.
E la Polizia Municipale, dov’è? Come mai quella ‘parte’ è diventata ‘tutta’?
E l’ agibilità di tutte quelle strutture e infrastrutture? I permessi? Mah…Mancano solo le salsicce e le costine. E certo, non ci sono nemmeno gli Inti Illimani. Però ‘stasera arriva il Roberto Vecchioni revival, più o meno siamo là.
Quindi godiamoci in loco le meraviglie del marketing politico parcellizzato sul nostro territorio, questo mega festival della Cgil, noi privilegiati.
Che cosa abbiano da festeggiare poi, è un mistero. Di fare propaganda, certo, si capisce, sì che han bisogno.
In questa tre giorni, ne avranno di ‘lavoro’. In decine di dibattiti, comizi, concerti e manifestazioni. Tutto, senza un minimo di autocritica, una parvenza di riflessione seria, sugli accadimenti degli ultimi anni, sul ruolo stesso dello storico e grande sindacato dei valori di sinistra, sulle proprie responsabilità, rispetto ai governi amici, che hanno via via attuato licenziamenti, precariato, parcellizzazione, età pensionabile stratosferica, e quant’ altro, finanche sui vocheur li hanno umiliati, oltre ai regali fatte a banche, multinazionali, grandi imprese e detentori delle sperequazioni sociali.
Infine, visto il privilegio della scelta di Lecce, nemmeno una nota di attenzione, se non altro, che sarebbe stata doverosa, verso la devastazione in atto del territorio salentino, a opera di Ilva, Cerano, Tap, discariche, inceneritori. Amnesia totale, della Cgil.
Ma poi sull’ universo mondo fanno i dibattiti a decine, in questi tre giorni.
Arrivo accaldato e sudato al Carlo V per seguire quello di questa sera che vede protagonisti Virginia Raggi e Antonio De Caro. Sala gremita, posti in piedi a giro. Saranno in almeno trecento, ma il popolo non c’è: addetti ai lavori, sindacalisti, funzionari e delegati vari ed eventuali. Pochissimi attivisti del M5S. Il senatore Maurizio Buccarella, con il quale scambio due parole di commento all’ uscita (mia) anticipata. Insomma, erano quasi tutti ‘loro’.
Aria interna, per fortuna tenuta fresca dalla mai abbastanza lodata pietra leccese.
Mi sono mediamente annoiato.
Chissà che mi aspettavo…Che so, qualche confronto serrato, qualche informazione da raccogliere, qualche impressione ravvivante. Qualche sana polemica, magari…Macché. Niente di tutto questo.
Il dialogo, intanto, non c’è stato. Ci sono state risposte alle domande del moderatore (che, guardo caso, ha cercato di mettere in difficoltà solamente Virginia Raggi e inoltre non ha battuto ciglio d fronte alle lungaggini esagerate di Antonio De Caro) a colpi di tecnicismi, acronimi, sigle, riferimenti burocratici, che rinuncio a cercare di spiegare ai miei lettori, anche perché in buona parte non li ho capiti nemmeno io.
Scusate l’ ignoranza.
Mi limito a riportare le mie impressioni sui due protagonisti visti e sentiti a lungo da vicino.
Anche se poi sembrava di stare a un dibattito su Sky, senza offesa per Sky, che in raltà un talk show del genere non lo avrebbe mai trasmesso, e se pure lo avesse trasmesso per sbaglio, lo avrebbe poi sospeso poco dopo, per scongiurare un calo di audience. Infatti, quando vado via io, dopo un’ ora e mezzo, ci sono sedie libere, e le file in piedi sono sparite.
Virginia Raggi è compita, garbata, seria, istituzionale, a tratti finanche rassicurante. In buona forma, nonostante tutto quello ha passato finora per l’ accanimento mediatico nei suoi confronti. In giacca e pantaloni blu, discreti, ministeriali, sopra la camicetta bianca. Semplice, corretta, breve e concisa nelle sue risposte. Il massimo spunto polemico che si concede e concede alla platea è quando lamenta la sedia vuota ai tavoli dei problemi romani: quella del governo nazionale.
Rivendica i risultati di perseguire il dialogo, “bello se costruttivo”, fra le parti sociali per cercare di risolvere i problemi della comunità; di privilegiare il ‘pubblico’ sul privato; di aver affrontato e risolto la vertenza Atac; di aver indicato nella riqualificazione delle attività produttive e del verde pubblico la futura identità della propria amministrazione.
Regala l’ unico momento autentico di sincera confessione della serata: “Io non ho intenzione di fare politica sulla pelle della gente. Cerco di capire quello che serve al di là del consenso, e di farlo, se serve a far star meglio”.
Antonio De Caro è il volto belloccio del renzismo. Falsamente polemico, perché poi, pover’ uomo, con chi dovrebbe prendersela, se il governo del suo partito taglia i miliardi agli enti locali? Fa finta di incazzarsi, qualche volta, c’è da credere, si è incazzato per davvero, finanche col suo capo diretto, ma poi rieccolo a mediare, spiegare, tamponare, perché poi i servizi bisogna darli, in un modo o nell’ altro, almeno quel minimo indispensabile, e via a districarsi fra leggi, regolamenti, bilanci, assestamenti di bilancio, sigle, acronimi e competenze impazzite gazie alla riforma Del Rio (pover’ uomo, sì: anch’ egli del suo partito).
Per premio l’ hanno fatto presidente dell’ associazione che raggruppa i comuni italiani, perché nel renzismo, nel burocratichese, con cui esercitare i confronti, i tavoli come si chiamano ora, con il governo, è davvero bravo. Come a spiegare quel che ha fatto e non ha fatto.
Una bella carriera politica spianata, incarnando quell’ anima problematica, ma spontanea, tutto sottratto degna e rispettabile del Pd.
Pantaloni blu e camicia bianca, logorroico, senza pietà per gli ascoltatori, regala un attimo di autenticità, l’ unico in cui gli brillano gli occhi. Un lampo. Parlava di sindaci sceriffo. E dice di non averne il fisico, lui. Qualcuno invece sì, il fisico da sceriffo ce l’ ha, dice, con un lampo fra le palpebre. Indovinate a chi stava pensando?
Apprezzo questi giovani del movimento e i pochi giornalisti che fanno informazione “vera”