DA LUNEDI’ 10 IN MOSTRA, NELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI VIA CAIROLI, CENTO OPERE DI EDOARDO DE CANDIA, ILCONTROVERSO ARTISTA LECCESE RIMASTO INCOMPRESO: “cercava le promesse mantenute da nessuno, e qualcuno a cui dare il suo cuore troppo grande”
di Mariagrazia De Giorgi______ La mostra AMO, ODIO, E ORO di Edoardo De Candia a cura di Lorenzo Madaro e Brizia Minerva, sta scaldando i motori.
Lunedì 10 luglio 2017 saranno aperte a Lecce le porte della chiesa di San Francesco della Scarpa, dove si potranno ammirare le opere dell’artista.
Si tratta di una delle più belle e interessanti operazioni artistiche per due motivazioni: la prima, è che si darà spazio a un artista conterraneo che merita uno sguardo particolare al di fuori di ogni localismo; la seconda, è che si è scelto un artista contemporaneo locale senza dover ricorrere ad artisti di fama nazionale.
E’ come se si avvertisse l’urgenza di ripartire dalla cultura, dall’arte e da ciò che di più bello questa terra può offrire e accanto a nomi come Michele Massari, Ugo Tapparini, Carmelo Bene, Tonino Caputo e Rina Durante, forse poco conosciuti dalle nuove generazioni, si ricordano i venticinque anni dalla scomparsa di un genio dell’arte con una mostra interamente dedicata ad Edoardo De Candia.
Da sempre l’artista è una figura che ha affascinato e che ha attratto, forse per il carattere eclettico e stravagante o per l’alone di mistero che si porta dietro da tempo remoto: la leggenda su De Candia porta a ricordarlo come barbone ed incompreso ai margini della società.
Si può affermare, però, con certezza la presenza di una pluralità di atteggiamenti che non riguardano esclusivamente “il fare artistico”.
Spesso la figura dell’artista viene accostata ad un Dio creatore e appare come colui che raggiunge l’estasi, quasi a contatto con il cielo, in uno stato di incoscienza che prelude il momento più importante: quello creativo.
Ma De Candia il “cavaliere senza terra”, chiamato così dal suo amico Antonio Verri, era diverso!
De Candia aveva un cuore grande. Andava in giro mezzo nudo e come i nomadi macinava chilometri, amava andare a San Cataldo per raccogliere l’acqua di mare che poi avrebbe usato per diluire i suoi colori, per giorni, mesi, ed anni! Forse cercava qualcosa, le promesse mantenute da nessuno, o forse cercava qualcuno a cui dare il suo cuore troppo grande per amare ed essere amato! De Candia non era matto, anche quando lo volevano tale, anche quando aspettava all’uscita della scuola i bimbi per regalare loro le caramelle.
Era dotato di una sensibilità artistica e spirituale che lo connetteva ad una realtà molto più grande di quella terrena, tanto che egli stesso bruciò le sue opere per poi fare una mostra in cielo.
Ai nostri occhi questo può essere definito come pazzia e scelleratezza, ma se fossimo stati noi i pazzi a non comprendere per molto tempo che il suo modo di interagire diversamente con il resto del mondo, la sua arte, le sue idee non fossero solo dei modi per connetterci con qualcosa di più grande, e noi forse troppo stupidi per non capirlo?
L’intento della mostra è quello di ricreare il mondo di De Candia attraverso i percorsi pittorici che tornano in maniera quasi circolare nella sua produzione; sono tre i momenti salienti Amo-Odio-Oro dalla quali si esplicano le cento opere tra tempere su carta, tele, acquerelli, disegni a china e tecniche miste, fino al nucleo prezioso e inedito di disegni erotici, per ripercorrere il processo creativo che ne ha contraddistinto il passaggio eterno dalla vita all’arte.
Poche linee, facevano un quadro, il colore ribadiva il concetto di unicità dell’opera proprio per l’immediatezza, mostra ambiti di reciprocità tra significato dell’opera, sintesi del segno e colore altro non sono che il simbolo della comunicazione poetico-visuale.
Sicuramente come tutti i grandi artisti il suo riconoscimento più grande è arrivato forse troppo tardi: “E’ scomparso un cavaliere visionario, purissimo, un cavaliere senza terra, uno di quelli che sanno così facilmente essere leggeri, levarsi in aria, disertare”. 1933- 1992. Una persona libera, muore libera.
Ho visto centinaia di quadri di Edoardo De Candia, i leccesi si sa di arte capiscono poco, pertanto tutto ciò che assomiglia ad un quadro lo acquistano purchè costi quattro soldi, poi se lo appendono sul muro, e raccontano di essere in possesso di un’opera d’arte. Lo fanno con gli oli su tela venduti agli angoli delle strade a dieci euro, quadri fatti in serie, tipo catena di montaggio, di “scuola napoletana”, lo fanno con tanti poveri disgraziati che sono fuori di testa e a cui lo psichiatra ha consigliato come terapia l’uso dei colori, per cui un pezzo di compensato o un foglio di carta su cui pongono una firma poi può essere spacciata come quadro d’autore.
Sia ben chiaro, se si vuole fare della beneficienza senza umiliare questi poveretti va bene, ma poi incollare questi “nquacchi” sulle pareti della propria casa o del proprio studio e raccontare agli amici che si tratta di opere d’arte, è un’operazione intellettualmente disonesta, così come lo è quella dei galleristi che fanno incetta di quadri di un pittore di nessun valore, per poi spacciarlo per un grande artista.
Sono curioso di vedere la mostra che Madaro e Minerva hanno organizzato su Edoardo De Candia, ma credo sia la solita operazione commerciale.
Io Edoardo l’ho conosciuto, o meglio mi ci sono intrattenuto diverse volte, noi ragazzini gli offrivamo qualche birra, era costantemente ubriaco, capelli lunghi, pantaloncini corti e camicia a mezze maniche e calzava delle ciabatte.
Non ricordo che donasse caramelle ai bambini, ricordo invece quest’omone che proferiva le frasi oscene all’indirizzo di ragazzine della mia età, dei quindicenni.
Certo era il risultato dell’abuso di alcool.
E questo può essere una giustificazione, l’essere costantemente ubriachi ed essere quindi privi di freni inibitori può essere confuso con la libertà? Ebbene di questi artisti che si spogliavano per strada o facevano la pipì in pubblico, quando ero bambino ne ho visti tanti, ma non li vedevo frequentare i laboratori d’arte, li vedevo entrare ed uscire dalle osterie.
l’ultimo saluto ad Edoardo gli fu dato da pochissimi cittadini nella chiesa di S. Pio in restauro; col fatto che fu utilizzata la porta laterale si dette alla cerimonia funebre un tono estremamente dismesso e sbrigativo: e tutti noi presenti sottolineammo la scena estremamente surreale con la totale assenza dei noti personaggi “governativi” del mondo dell’arte e dei cosiddetti uomini della cultura, i sempre curiosi intellettuali, e della sfera politica cittadina; noi del quartiere Rudiae lo ricorderemo per tutto il nostro tempo avendo ben vivi i suoi fervidi ed estemporanei momenti giovanili in via di Vaste e i “tristi” giorni della sua vita.