IL SECONDO TRAGICO MATTARELLUM
di Giuseppe Puppo______
Un sogno? Il ‘sogno comune’ di solidarietà e di comunità, invocato alla fine mutuando la frase segnata sul disegno di un bambino?
No. Un incubo.
Il discorso, il secondo tragico di fine anno discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato un incubo.
Gli avevano preparato uno sfondo migliore di quello da vecchia tappezzeria e di buone cose di pessimo gusto dell’ anno scorso: colorato, di fiori e di bandiere.
Poi però c’ era lui, in primo piano, in tutto lo splendore inverso delle sue cinquantamila sfumature di grigio, con gli effetti zoom della telecamera che lo riprendeva in primo piano e lo ponevano in un contesto avulso, irreale, da ipnosi.
Il fumo di Londra in versione romana, da incenso avariato, dava alla testa.
La telecamera si muoveva avanti e dietro, lui risaltava come in un’ elevazione fuori contesto, con quella faccia da buonismo spento, con effetti allucinogeni.
Forse perché sotto ipnosi, io ci ho visto spuntare pure il del resto evocato, evocato in un’ autoassoluzione per l’ incarico conferitogli, in un capolavoro di ipocrisia, invece che le auspicate elezioni subito, a febbraio, Paolo Gentiloni.
C’ era pure Giorgio Napolitano.
Io non temo le loro idee, anche perché non ne hanno. Temo le loro facce.
Quei loro volti al giglio appassito, le labbra strette, il ciglio amorfo, il cipiglio che non si illumina mai, che non evoca e non propone, sordo, in quella rete unificata sorda, ché grigia l’ ho già detto.
Nel mio incubo ho vaneggiato pure io, madonnamia, datemi di nuovo Matteo Renzi, che almeno faceva ridere, era divertente.
Datemi di nuovo una pipa fumante.
Arridatemi un piccone.
Ho sognato montagne verdi, e le corse di una bambina, le discese ardite e le risalite, la ragazza della porta accanto, la commessa del negozio in minigonna, le tette grosse della barista.
Lui, con l’ effetto zoom, parlava. Poco, ha parlato, un quarto d’ ora scarso. Ma un quarto d’ora scarso è un’ eternità, per non dire niente.
Neanche una soluzione, un impegno, una speranza, se pure un’ illusione.
Neanche un accenno di lucida consapevolezza sul come affrontare le cause delle cose.
Una stanca, vuota, logora riproposizioni di luoghi comuni, le spedizioni militari all’ estero: “missioni di pace”; la comunità europea: “patria amica comune”; le istituzioni: “luoghi della sovranità popolare”, sic, seh e vabbè, e via zoommando.
Poi, mi sono svegliato dall’ incubo, e ora mi è venuto il voltastomaco, mi è passato l’ appetito, altro che cenone, ma sarà per l’ influenza cui sto cercando di resistere.
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