SALUTE E AMBIENTE ALL’ ATTENZIONE DELL’ IMPRENDITORE LECCESE. ANTONIO QUARTA: “Ecco perchè non voglio produrre il caffè in capsule”
(Rdl)______Importanti dichiarazioni questa mattina, raccolte da Leda Cesari e gentilmente trasmesseci da Gianfranco De Santis, capo comunicazione e immagine del gruppo, di Antonio Quarta (nella foto). L’ imprenditore leccese rilancia i dubbi espressi dall’endocrinologo Foresta sugli “ftalati” per i loro effetti su salute e ambiente, e spiega perché la sua azienda, fra le più amate dai consumatori, ha deciso di non produrre caffè in capsule. Sarebbe a questo punto auspicabile una legge per rendere i consumatori edotti su dove cominci il pericolo, ovvero specificare la soglia oltre la quale l’effetto accumulo di una serie di sostanze nocive diventa un problema serio per la salute._____
Sono rimasto alquanto allarmato dai dati del convegno “L’infertilità di coppia: dalla medicina generale al centro Pma”, tenutosi alcuni giorni fa a Lecce e veicolo dell’allarme lanciato da Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova. Motivo, i risultati di un recente studio del gruppo di ricerca guidato da Foresta, in collaborazione con il Cnr, circa il contenuto di ftalati in una delle bevande più diffuse al mondo – il caffè – e in particolare nei preparati commerciali predosati in capsule.
Gli ftalati – ha ricordato Foresta – sono agenti chimici aggiunti alle materie plastiche per aumentarne la flessibilità.
Sono ovunque, ma non ce ne accorgiamo, e svolgono un’ azione simil-estrogenica nel nostro organismo; secondo recenti ipotesi aumenterebbero l’incidenza di patologie andrologiche e cancerogene, come osservato negli ultimi vent’anni. In diverse specie animali gli ftalati modificano il funzionamento del sistema riproduttivo, ha continuato Foresta, “e sono ritenuti anche per l’uomo tra quei contaminanti che possono agire negativamente sulla fertilità”.
Sorprendentemente tutti i prodotti testati, dalle capsule in alluminio a quelle in plastica e materiale biodegradabile, si sono rilevati capaci di rilasciare gli ftalati nel caffè: “Non vogliamo demonizzare nulla – ha precisato Foresta – anche perché le concentrazioni riscontrate sono nell’ambito di range consentiti. Ma dev’essere considerato che anche attraverso questa contaminazione si contribuisce al raggiungimento dei valori soglia segnalati come nocivi dalle autorità sanitarie nazionali e interazionali”.
Certi effetti, dunque, si sommano, “e noi siamo la somma di queste esposizioni. Quindi sarebbe importante cercare di capire se, nell’arco della giornata, si superino i limiti dell’assunzione, il che aiuterebbe anche a decidere in che modo eventualmente limitarla”, ha concluso Foresta.
Questi risultati si sommano allo speciale di “Report” sui danni della plastica e con altre ricerche analoghe in corso in Francia, in Spagna e in
America: spesso dimentichiamo infatti che la plastica è un derivato del petrolio. La migrazione delle sostanze pericolose per la salute umana, ormai è certo, avviene già a freddo: figuriamoci con gli 80-90 gradi che servono per estrarre un caffè. È come cucinare la pasta con tutta la busta.
Della plastica meglio non abusare, anche perché inquina. Troppo packaging. Soprattutto quando si parla di alimentazione e di ambiente: le capsule sono infatti un rifiuto speciale.
A volte i miei colleghi mi dicono che non sono un bravo imprenditore perché non metto davanti a tutto le ragioni del fatturato, ma io preferisco privilegiare la qualità delle nostre miscele, e soprattutto la salute dei nostri consumatori salentini e l’ambiente.
E in ogni caso perché non fare una legge che eviti le diciture ambigue, tipo ‘entro le dosi consentite’ – che poi non si sa quali siano – e spiegare esattamente alla gente quale sia la soglia oltre la quale la plastica e l’alluminio diventano pericolosi?.
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